Il canone è una tassa sul possesso di apparecchi idonei a ricevere programmi tv. In sostanza, è come il bollo sull’automobile, che si paga anche tenendo la macchina in garage. Ma, mentre chi possiede l’auto si presume che circoli per le strade, che a loro volta sono costruite e gestite con denaro pubblico, chi vede la tv, quale servizio pubblico riceve oggi dallo Stato e dalla Rai? Un tempo si pagava la tassa anche sugli apparecchi radio, ma dalla fine degli anni Settanta, con il proliferare delle emittenti private, tale tributo fu soppresso. Da allora, il canone Rai è limitato alla tv. Fino a un certo periodo, abbiamo avuto una «Rai di servizio pubblico», ma oggi, tra i canali pubblici e quelli delle altre reti nazionali, non c’è più differenza. Anzi, programmi di vero «servizio pubblico» a volte li troviamo proprio in quelli definiti «commerciali».
D’altronde, si tratta di un concetto che proprio la Rai ha contribuito negli anni a diluire così tanto, fino a farlo ormai svanire. Attualmente, con le decine di canali presenti su varie piattaforme e lo sviluppo dei cosiddetti nuovi media, abbiamo una tale mole d’informazione e d’intrattenimento che a risultare seriamente compromessa è la qualità generale dei programmi. Allora, anziché il canone, forse sarebbe meglio pagare ciò che riteniamo utile vedere. Dovendo farlo, infatti, saremmo costretti a selezionare il meglio dell’offerta, contribuendo a sviluppare la concorrenza tra le reti e a far crescere, di conseguenza, la qualità complessiva della tv. Ma questo è tutto un altro discorso, che, prima o poi, però, bisognerà affrontare.