Dal boom alla crisi: il Paese che ha dimenticato la dieta mediterranea

C’era una volta la dieta mediterranea, quella che è stata praticata da intere generazioni dei nostri progenitori e, quindi, dalle tante comunità agricole e cittadine che abitavano le Marche, come altre regioni italiane. Un’alimentazione basata soprattutto su verdura, frutta, legumi, pane, polenta, pochi grassi, qualche animale da cortile per la domenica e poco altro. Ma non sapevano che quella era la dieta mediterranea, la stessa che, nel 2010, è stata proclamata Patrimonio culturale immateriale dell’umanità.

È grazie a quella dieta che oggi le Marche si possono vantare di essere una delle regioni con una popolazione tra le più longeve d’Italia e, quindi, d’Europa con tanti centenari ancora in vita nelle varie città del territorio. Ma questi centenari di oggi sono persone nate nei primi anni del 1900 e che hanno affrontato i durissimi anni contraddistinti da due Guerre mondiali, anche perché la scarsità di cibo si accompagnava alla fame.

Anche il mangiare poco, appena quel tanto che serve a mantenersi in forma, aiuta a vivere a lungo. Mangiare molto, e addirittura abbuffarsi, un tempo faceva venire la gotta: oggi sappiamo che mette in pericolo la nostra salute. Ma, soprattutto, quelle generazioni hanno rispettato la dieta mediterranea.

A quel tempo c’era anche un altro fattore fondamentale, oggi del tutto sottovalutato. L’educazione alimentare avveniva in casa. Erano le mamme e, soprattutto, le nonne, che insegnavano ai gli e nipoti cosa mangiare, come mangiare, cosa preferire per una nutrizione sana.

Oggi come avviene l’educazione alimentare? La forma più importante, forse quella determinante, ci viene indicata dalla Tv, o meglio ci viene inculcata dalla pubblicità fatta, spessissimo, da chi ha potenti mezzi economici e ha lo scopo principale di imporre i propri prodotti avendo come obiettivo finale di incrementare gli utili. Ed è chiaro che sono le multinazionali, che hanno le loro sedi e i loro azionisti nelle più grandi capitali economiche del mondo, che non hanno come obiettivo quello di tutelare la salute dei consumatori sparsi per il mondo, bensì quello di indurli a consumare il più possibile i loro prodotti, che per questo sono accreditati di portare salute, efficienza, bellezza e quant’altro.

E noi, ma soprattutto le nuove generazioni, abbiamo dimenticato la dieta mediterranea. Come è potuto accadere tutto questo? Per semplificare diciamo che nel 1950 sono iniziate le trasmissioni televisive e nel 1957 sono partite le prime campagne pubblicitarie. Negli anni 60 si è verificato il cosiddetto «miracolo economico italiano» con un boom tale da spingere gli italiani ad avere 5 televisori in ogni casa, due/tre auto per famiglia, vacanze nei Paesi più esotici del mondo…

È esploso il consumismo, un fenomeno che ci faceva apparire reali dei bisogni che, invece, erano ttizi e ci induceva a credere che la felicità fosse basata solo sulla possibilità di fare sempre nuovi acquisti. Saltiamo a piedi pari l’esplodere delle prime contraddizioni di questo sistema, con le manifestazioni studentesche del 1968, e arriviamo al 2007, quando siamo investiti da una delle più gravi crisi economiche che la nostra generazione ricordi. La riduzione dei consumi fa sì che le famiglie, nello scegliere il cibo, siano condizionate dal prezzo e, quindi, non si guarda più alla qualità ma al costo.

Si preferisce l’olio a 3 euro (cifra con cui non si ripagano soltanto il vetro e il sughero con l’etichetta) anziché quello da 10 euro. E le multinazionali vanno incontro a questo nuovo orientamento mettendo in vendita come olio extravergine, dell’olio normale. Ci fanno consumare a Natale dei panettoni prodotti diversi mesi prima. Ci offrono biscotti all’olio di palma o anche olio al tartufo prodotto chimicamente dannoso alla salute. I bovini vengono ingrassati con gli ormoni e le galline, allevate in batteria, sono difese dalle malattie con gli antibiotici.

Si dirà che questo non avviene nei nostri allevamenti. Certamente, ma il nostro Paese è invaso da capi di bestiame che vengono dall’estero: non solo bovini ma anche maiali, pollame e ovini. Si pensi soltanto all’ottima produzione di olio che ha l’Italia: ebbene, il nostro prodotto non è sufficiente a soddisfare la richiesta dei consumatori italiani. Però, metà dell’olio prodotto va all’estero perché spuntano prezzi più alti e il mercato interno, purtroppo, viene soddisfatto da olio che viene dall’estero.

Ugo Bellesi

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