Lo scorso dicembre, nell’ambito del Piano Nazionale per la Scuola Digitale che ha l’obiettivo di promuovere una fruizione consapevole e responsabile degli strumenti tecnologici, si è tenuto ad Ancona un incontro formativo organizzato dall’Ufficio Scolastico Regionale in collaborazione con l’AIART. Il progetto è ambizioso: partire dalla valorizzazione della creatività dei ragazzi invitando le diverse agenzie educative al “gioco di squadra”, affinché la cultura digitale rappresenti davvero un’opportunità di crescita per la nostra società.
Quanto segue rielabora il contributo che l’AIART ha offerto in quella sede.

«Cari Genitori, per Natale non regalate tecnologia» lo ha scritto a metà dicembre, perentorio, su L’Huffington Post lo psichiatra Paolo Crepet; chissà quanti genitori, nonni o zii leggendo l’articolo si sono sentiti colti in flagrante. Eppure  la strada per una tecnologia “sostenibile” dall’ecosistema familiare e scolastico non è impossibile da percorrere, ma si tratta di una sfida educativa che riguarda innanzitutto gli adulti, sollecitati a un radicale cambio di prospettiva.

Il primo errore da evitare è quello dell’etichettamento facile facile. “Millenials”, “Net generation”o “Nativi Digitali”, i neologismi si sprecano. È sicuro che i nuovi nati siano già “predisposti” ai nuovi strumenti della comunicazione? A essere decisamente più tecnologici sono piuttosto i giocattoli della primissima infanzia. Luci colorate, suoni, tasti da pigiare e schermi da accarezzare costituiscono la dotazione minima del balocco 2.0.
Allora probabilmente è superfluo chiedersi che fine abbiano fatto i semplici sonagli di un tempo: non c’è gara; i piccoli mostrano inequivocabilmente cosa preferiscono. Infatti il loro cervello  viene maggiormente stimolato dai devices, cioè dagli strumenti digitali, i processi iniziali di apprendimento si velocizzano, i risultati si raggiungono immediatamente, con il minimo sforzo e sempre a portata di mano.
Ma tutto ciò è frutto del progresso o una precisa strategia di marketing per l’iniziazione alla tecnologia? Da interrogativi come questi derivano quasi sempre visioni tecno-entusiastiche o, viceversa, tecno-allarmiste, ma si tratta di una disputa sterile che non aiuta a comprendere i fenomeni in atto.
Innanzitutto gli adulti dovrebbero rimettersi in gioco, interessandosi alle novità e accompagnando le esperienze mediali dei più piccoli senza considerarle necessariamente una minaccia, bensì un’opportunità per educare in maniera persino più incisiva. È vero che se osserviamo un bambino alle prese con un tablet noteremo l’immediata familiarità con lo strumento, ma ciò non implica competenza o superiorità rispetto alle generazioni passate.
La sua esplorazione della superficie dello schermo sfiorando le icone procede per tentativi ed errori, come fa di fronte a ogni novità incontrata.

Il video dimostra che i neonati hanno maggiore familiarità con il touch screen, ma fanno più fatica a comprendere il “funzionamento” di una rivista illustrata: le immagini dinamiche del display hanno certamente maggiore appeal rispetto a quelle statiche stampate su carta.
Però se vengono lasciati soli di fronte allo schermo, difficilmente i piccoli acquisiranno capacità critica: si limiteranno a ripetere attività che li appagano immediatamente o a imitare i comportamenti degli adulti.
Sin dalla più tenera età va prestata molta attenzione allo sviluppo armonico di tutte le abilità sensoriali, attualmente troppo sbilanciate in favore della vista. Molti studiosi arrivano addirittura a parlare di dieta. Una dieta mediale in cui andrà tenuta d’occhio non soltanto la quantità dei contenuti, ma anche la varietà e la qualità.
Ulteriori riflessioni pedagogiche possono scaturire anche da numerosi video divertenti presenti in rete. Ad esempio, basta osservare il video di due teenager alle prese con un “preistorico” walkman per comprendere come la familiarità con la tecnologia sia un dato tutt’altro che verificato.
Paolo Attivissimo, noto esperto informatico e giornalista, tempo fa ha pubblicato un articolo dal titolo provocatorio: “Per favore non chiamateli nativi digitali“. E lo stesso Marc Prensky, a cui si deve questa definizione che tanta fortuna ha avuto, da tempo ha spinto la sua riflessione oltre ogni semplicistica categorizzazione, a beneficio della ricerca della saggezza digitale intergenerazionale. Però, come talvolta accade, questo suo cambio di prospettiva ha avuto meno appeal giornalistico, restando sconosciuto ai più (nell’era digitale chi d’influenza mediatica ferisce, d’influenza mediatica …perisce!).
In conclusione famiglia e scuola dovranno collaborare strettamente per rivoluzionare il tradizionale metodo educativo: da un modello verticale in cui il sapere e le conoscenze si trasmettono dall’adulto al bambino, a una prospettiva di condivisione orizzontale
delle competenze, in cui educando ci si educa.

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