Storia della «tradizionale stella di san Giuliano»

Pubblichiamo un estratto dal volumetto «Le pinturette di san Giuliano» edito dal Centro italiano femminile (Cif) di Macerata con il sostegno del Centro servizi per il volontariato (Csv). Il testo «La tradizionale stella di san Giuliano» è di Libero Paci. Si ringrazia il Cif Macerata per la cortese collaborazione e disponibilità.

La tradizionale stella di san Giuliano

La storia
In effetti la “tradizione” non è antichissima e non risale ai “tempi eroici” in cui il nostro Santo Patrono trucidava padre e madre, ma solamente al 1848. Addirittura ai giorni della garibaldina Repubblica Romana, quando i conti del capitolo Cattedrale annotarono spese per la “confezione” di una “stella” luminosa da innalzare nel duomo il 14 gennaio, festa di «San Giuliano d’inverno». Poi silenzio. Nemmeno i maceratesissimi annalisti Antonio Natali e Pietro Pagnanelli annotarono alcunché tiri oltre l’annessione della città al Regno d’Italia. Poi lo storico avvocato Raffaele Foglietti, intorno agli anni ’80 del secolo XIX, devotissimo del Santo (nelle feste cantava, da buon baritono, il «Beatissimo Juliano») attribuiva la rinata stella ad ancestrali culti solari. Un appassionatissimo devoto del Patrono fu il canonico (non pare sia diventato celermente Monsignore) don Giuseppe Jacoboni, collaboratore insigne alla costruzione dell'”Immacolata” e progettista della parrocchiale di Sforzacosta. Nel 1887 riuscì a fondare la Pia Unione San Giuliano nel 1892 diffuse in città il numero unico «L’Ospitatore» in occasione del 450° dall'”invenzione” (era tale) del Santo Bracco del Patrono. A lui, quindi, si può attribuire la “rifondazione” della quasi neonata stella. E, fino a qualche anno fa, ottenne il suo intento prevalentemente folkloristico.

Il colore (con abbondanti nostalgie)
Secondo quanto raccontavano a noi (allora) bambini, sagrestani, campanari, addobbatori di chiese, frati cercatori, la «stella» di san Giuliano aveva avuto qualche predecessore a seconda dei tempi liturgici. A Natale i buoni Padri Minori Osservanti accendevano (non sappiamo in quale modo) una stella con anima in legno e copertura di ottone. Questa si conservava almeno fino ai primi del ‘900 in Santa Croce ufficiata, fino ad allora dagli Osservanti. Per l’Epifania simile stella veniva posta sul dossale dell’altare maggiore e ne vidi anche io una traccia nei sotterranei, poi devastati, della chiesa. Stesso montaggio e uguale illuminotecnica in epoca ancora “a candele”, poi le vicende politiche cancellarono queste usanze. Bisognava supplire in qualche modo a tali mancanze. Don Giuseppe, che dal 1862 a soli 18 anni era diventato canonico del Duomo si accinse quasi immediatamente a questa impresa. Prese lo spunto dagli esempi precedenti sostituendo Santa Croce e Sano Giovanni con la, diciamo conclusiva, «Stella (ora) di san Giuliano».

Da “quasi ingegnere” afferrò una conveniente serietta di assi di abete, acchiappò un’ ampia lastra di ottone e, con l’aiuto di falegnami, lattonieri e bollettà’, conferì al tutto la figura di una grande stella a otto punte partenti da un bel nucleo circolare, sul tipo del “sole raggiante” dei Barberini. L’illuminotecnica fu risolta brillantemente. Il centro della stella fu dotato di un bel fiasco pieno di acqua anteposto, precariamente, a un lume da frisculà’, brillantissimo escamotage. Intorno friggevano invece, numerosissimi bicchierini in vetro (ex vetreria Cruciani in via, poi, IV novembre) colmi di olio e con stoppini adeguati. Se ne vedevano non pochi esemplari nelle soffitte del duomo almeno fino agli anni ’60. Nel pomeriggio del 14 gennaio, durante il canto del vespro, il pio canonico con pazienza certosina accendeva tutti i lumi. Poi il meccanismo si metteva in moto e la stella ascendeva verso la conca dell’ abside fra le meraviglie popolari e i timori del clero circostante: si temevano sgocciolii, eventuali distacchi del fiasco, e, ancora più, del lume da frisculà’. Niente mai succedette.

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