Marco Moroni*

Sono ormai passati quindici anni dall’istituzione del Giorno della Memoria e, secondo alcuni, già si sentono i primi segni di stanchezza. Il rischio che diventi un rito ripetitivo oppure una delle tante date da inserire nel nostro calendario civile è evidente. Elena Loewenthal è arrivata a scrivere un libro dal titolo «Contro il giorno della memoria».

Eppure, la legge 211 del 20 luglio 2000 era stata vista come una conquista. Dopo un lungo periodo nel quale agli ebrei si concedeva nuovamente il diritto ad esistere e a reinserirsi nelle società europee, ma in cambio del silenzio su quanto avvenuto, finalmente veniva istituita una giornata in cui, come si dice nella legge approvata dal Parlamento italiano «ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed al rischio della vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».

Non sono mancate le critiche alla data prescelta: il 27 gennaio, giorno dell’abbattimento dei cancelli del campo di sterminio di Auschwitz. Alcuni avrebbero preferito la data del 16 ottobre, giorno della deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma, per sottolineare le responsabilità del fascismo e degli italiani, dalle legge razziali alla Repubblica di Salò, così come avevano fatto i francesi scegliendo come data il 16 luglio, il giorno in cui la polizia francese diede inizio all’arresto di 13mila ebrei, poi avviati ad Auschwitz. La scelta di una data legata alla liberazione di Auschwitz è stata vista come il tentativo di far passare l’idea degli italiani estranei all’olocausto o il luogo comune degli “italiani brava gente”.

Gli stereotipi e i luoghi comuni favoriscono le banalizzazioni e anche di fronte alla Shoah il rischio delle banalizzazioni è molto forte. Questo rischio lo corre anche la scuola, quando pensa di poter affrontare il Giorno della Memoria, proiettando un film oppure organizzando una visita ad Auschwitz. Forse sono nel giusto coloro che suggeriscono di promuovere visite a Fossoli di Carpi, trasformato dalla Repubblica di Salò in luogo di transito verso Auschwitz, oppure alla Risiera di San Sabba, unico campo di sterminio in Italia, gestito da tedeschi ma con pesanti responsabilità italiane. Si potrebbero anche ricordare i quattro campi di internamento attivi nella provincia di Macerata e in particolare quello di Sforzacosta, destinato esclusivamente agli ebrei.

Non entro nel merito di come si possa insegnare la Shoah. Lo ha fatto di recente Maila Pentucci in un documentato articolo apparso nel numero 3 (2014) della rivista «Marca/Marche»; rinvio quindi a quell’articolo, intitolato appunto Insegnare la Shoah. Mi rendo conto di come sia difficile parlare dell’Olocausto, ma penso che essere consapevoli dei rischi di banalizzazione sia già un passo per evitarli. Oggi tutto è reso più difficile dal particolare momento storico che stiamo vivendo: non solo stanno crescendo le intolleranze, ma l’Europa è di nuovo attratta dai movimenti xenofobi.

Di fronte a questa realtà è possibile attualizzare il Giorno della Memoria? Credo sia possibile farlo. Ad esempio, ricordare che nei campi di sterminio trovavano la morte soprattutto gli ebrei, ma anche gli zingari, gli omosessuali, i testimoni di Geova e gli oppositori al nazismo e al fascismo deve portarci a rilanciare un messaggio universale di tolleranza, di libertà e di rispetto delle diversità. Come suggerisce Simon Levis Sullam in una intervista a «Novecento», partendo dal dramma della Shoah potremmo arrivare ai drammi di oggi e al problema dell’altro nelle nostre società contemporanee, fino a toccare i problemi che stanno spaccando l’Europa, come quello dei migranti e quello dell’islamofobia. Fare memoria dell’Olocausto è certamente, come ha scritto David Bidussa, la migliore occasione per confrontarsi con la Storia, ma può anche diventare un momento di riflessione sull’oggi e sul nostro impegno nel mondo contemporaneo.

*Docente dell’Università Politecnica delle Marche

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