Alla fine Raul uccide Ada e poi si suicida. Epilogo drammatico ma purtroppo prevedibile, quello della fiction televisiva «Luisa Spagnoli», trasmessa nelle scorse serate da Raiuno: Ada sa di avere un fidanzato violento, eppure lo sposa ugualmente, incurante dei tentativi dell’amica Luisa di metterla in guardia.
Nel 2015 sono state 128 le donne uccise prevalentemente dal marito o dal compagno
Un bollettino di guerra di fronte al quale nessuna famiglia può dirsi al sicuro: teatro di maltrattamenti non sono solo quelle degradate o «a rischio», ma pure famiglie “insospettabili”. Uomini insospettabili, appunto, di tutti i ceti sociali: liberi professionisti, intellettuali, operai, impiegati, che considerano la compagna (ed anche la ex dalla quale non si rassegnano ad essere abbandonati) un oggetto di proprietà con un senso malato di possesso che si trasforma prima in smania di controllo, poi in brutalità e istinto di distruzione.
Un vero cortocircuito che da una parte vede uomini fragili, feriti in modo insopportabile nel loro narcisismo e incapaci di tollerare frustrazioni relazionali, aggredire fino alla morte vittime che a loro volta non riescono a svincolarsi dalle sabbie mobili di una relazione degenerata. Vittime-complici in un legame morboso che forse è anche frutto di una cultura ancora cristallizzata su modelli di subalternità femminile (psicologica ma spesso anche economica) nei confronti dell’uomo.
In atto un vero cortocircuito che vede uomini fragili, feriti in modo insopportabile nel loro narcisismo e incapaci di tollerare frustrazioni relazionali
Si parla di inadeguatezza del mondo maschile: ma quanto dipende anche dall’educazione che le madri impartiscono ai figli e da quella che gli esperti chiamano «femminilizzazione» dell’educazione, spesso priva di riferimenti maschili positivi? Venute meno le reti di alleanze educative più ampie, occorre ripartire con una riflessione adeguata sul maschile, indagandone identità e paradigmi.
L’alfabeto dei sentimenti e delle relazioni, e quindi il rispetto per la donna, si impara fin dai primi anni in famiglia, soprattutto dall’esempio dei propri genitori, ma anche la Chiesa può svolgere un importante compito educativo. Così la scuola. Non è l’educazione al gender che serve, ma una sana educazione ai sentimenti e al rapporto fra i sessi. Basta aprire gli occhi per accorgersi che esiste una questione maschile e che c’è qualcosa che non torna, qualcosa di malato e distruttivo nel fondo melmoso della società. Noi lo rifiutiamo.
Giovanna Pasqualin Traversa