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Il salmista e il canto del salmo responsoriale

https://www.youtube.com/watch?v=lcnWfK4yUr4#t=5m35s

Proseguo l’approfondimento sul canto del salmo responsoriale.

Sant’Ambrogio afferma:
« Che cosa vi è di più bello del salmo? Bene ha detto lo stesso Davide: “Lodate il Signore, poiché bello è il salmo. Al nostro Dio sia lode gioiosa e conveniente”. Ed è vero! Il salmo infatti è benedizione del popolo, lode a Dio, inno di lode del popolo, applauso generale, parola universale, voce della Chiesa, canora professione di fede… ». (Sant’Ambrogio, Enarrationes in Psalmos, 1, 9: CSEL 64, PL 14, 968.)

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo:
«I salmi costituiscono il capolavoro della preghiera nell’Antico Testamento. Presentano due componenti inseparabili: personale e comunitaria. Abbracciano tutte le dimensioni della storia, facendo memoria delle promesse di Dio già realizzate e sperando nella venuta del Messia.» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2596)

Il salmo è risposta a Dio che parla e nella celebrazione liturgica, l’assemblea esprime questa risposta con il canto comunitario e attraverso la figura del Salmista.

Il re Davide fu il salmista per eccellenza.
«Quando dunque lo spirito di Dio era su Saul, Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui.» (1 Sam 16,23)

Il salmista è un vero e proprio ministero sebbene non istituito. È il ministro del canto della Parola di Dio, colui che mette a servizio della comunità la propria voce durante la liturgia della Parola per esprimerla e farla esprimere col canto. È il cantore della Parola. Non è un cantante, ma un servitore della Parola, quindi deve far emergere il suono della Parola di Dio eliminando il proprio ego, non beandosi del proprio canto.

La domanda che normalmente ci si pone è: ma io non sono un cantante professionista, non ho studiato canto lirico, come faccio a cantare un salmo?
Il canto del salmo non richiede voce lirica e particolarmente vibrata, bensì una voce gradevole, chiara, ma anche umile e discreta, possedere una tecnica eccellente, buona dizione e ottima intonazione insomma deve avere una padronanza assoluta nell’arte della cantillazione, arte che non si studia in un’aula di conservatorio, perché non fa parte minimamente dei programmi di studio. Ma cos’è questa cantillazione, questo termine che unisce e sposa due parole, il canto e la proclamazione.

«La cantillazione è una tecnica molto antica, che non appartiene né al genere del parlare/recitare né al genere canto. Non è una recitazione perché la voce cammina su una o poche note e non segue il parlato oscillante e personale; non è nemmeno un canto libero, perché il testo non è ingabbiato in battute precostituite, ma segue il ritmo delle parole, del verso, della strofa.
Potremmo definire la cantillazione come l’arte di porgere la parola in maniera elevata, sostenendola con un “melos” elementare.
La cantillazione è a metà strada fra il parlato e il cantato: ha una sua musicalità semplice e primitiva, la musicalità stessa del testo.
Esiste un rischio molto forte: trasformare la cantillazione in canto. Compito della cantillazione è di portare la parola su un piano diverso dal quotidiano, più interiore e religioso.
Occorre un tono sobrio ed equilibrato, un dispendio di energia minimo, un ritmo calmo e interiorizzato. […] Il punto di partenza di una corretta cantillazione è una buona recitazione del testo.» (Mons. Antonio Parisi, “I salmi e il canto”, dispensa didattica CEI, Musica Liturgica On Line)

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