Nell’ambito delle celebrazioni centenarie della Grande Guerra non possono essere dimenticati i tanti cappellani militari, i preti soldati, i religiosi, i chierici e i conversi che con fede e spirito di sacrificio hanno dato testimonianza di fedeltà alla Chiesa e di attaccamento alla patria. Dovendo conciliare il linguaggio del Vangelo con quello bellico, l’altare con la trincea, la croce con il fucile, la loro partecipazione provocò in molti dolorose crisi interiori e la loro presenza fu «pagata a caro prezzo non solo con il sacrificio di vite umane, ma soprattutto con un profondo travaglio ecclesiale», come scrive Bruno Bignami. (1)

Fu il cattolico Luigi Cadorna con la circolare del 12 aprile 1915 a reintrodurre unilateralmente nelle forze armate la figura del cappellano militare, non solo per i cattolici, ma anche per gli appartenenti alla Chiesa Evangelica Valdese, alla Chiesa Battista e per i militari di religione ebraica. Oltre ad offrire un sostegno spirituale ai soldati, il cappellano doveva favorire nei reparti di competenza la coesione e lo spirito di disciplina, predicando l’altruismo, l’osservanza dei doveri, il coraggio, lo spirito di patria, la rassegnazione al sacrificio. Presente in trincea e negli ospedali da campo, fu pastore di anime e contemporaneamente padre, fratello, amico, confidente, sostegno nei momenti di sconforto e di paura, intermediario con le famiglie, punto di riferimento per ogni necessità.

Messa in trincea - foto Carlo Balelli,Collezione Famiglia Balelli
Messa in trincea – foto Carlo Balelli, Collezione Famiglia Balelli

A ciò si aggiungeva il doloroso compito di trasmettere i dati dei militari caduti, dispersi, feriti o prigionieri, di conservare e consegnare gli ultimi ricordi, di allestire e curare i cimiteri. Ebbe anche il ruolo di animatore per tenere alto il morale della truppa e a questo scopo allestivano le Case del Soldato, centri di accoglienza, di assistenza morale e di socializzazione, dove si organizzavano feste, conferenze patriottiche, corsi di alfabetizzazione.

Cappellani, preti soldati, religiosi costituirono un piccolo esercito, esiguo in confronto ai grandi numeri del Primo conflitto mondiale e non determinante per le strategie militari, e forse è per questo che non sono pienamente saliti alla ribalta della storia e le loro esperienze sono in gran parte ancora disperse negli archivi, sepolte tra le carte in attesa di essere conosciute. Di un cappellano militare, il canonico tolentinate don Giacinto Rascioni, classe 1879, assegnato con il grado di tenente al 10° Reggimento Bersaglieri sul finire del 1917, leggiamo una sua lettera (clicca qui per il testo originale), testimonianza carica di ricordi nostalgici, indirizzata dalla zona di guerra a mons. Romolo Molaroni, Vescovo di Macerata e Tolentino:

“7 giugno 1918 Solennità del S. Cuore di Gesù

Eccellenza Rev.ma

Ringrazio vivamente l’E. V. della cartolina che ha avuto la bontà di inviarmi. La mia del Giovedì Santo era una doverosa risposta ad altra sua. Il Corpus Domini io l’ho celebrato in modo ben diverso dall’Eccellenza Vostra! Non voglio parlare dei ricordi che queste solennità suscitano in me e che anche ora fanno tremare la mia mano nello scrivere perché anche la festa del S. Cuore di Gesù è piena per me di dolcezza e di soavissime ricordanze di Ministero sacro. Lascio tutto questo perché debbo badare in certi giorni ad allontanare i ricordi troppo toccanti, o a lottare per trasformarli in sorgenti di energia nuova mentre dapprima si mostrano accorati. Farò la cronaca soltanto.

Sono ora presso la Compagnia che occupa l’ala estrema del mio Reggimento e la parte più aspra del fronte. Pel Corpus Domini mi recai all’estremo del distaccamento che ancora non aveva fatto il precetto pasquale. Arrivai il pomeriggio della vigilia sudato e gocciolante. Radunati i bersaglieri li invitai con un breve discorsetto, e quindi parecchi si confessarono: altri avevano fatto il precetto in licenza. Ebbi la fortuna di potermi servire di una bella tenda d’un ufficiale assente e là mi coricai. La ninna nanna me la suonavano i nemici con un grande fracasso di bombe. Nella notte piovve anche qui e prima delle quattro (ora legale, cioè le tre) io era fuori della tenda a guardare il cielo: non c’era luogo coperto per celebrare la S. Messa e ricoverare i soldati che dovevano assistervi.

Processione del Copus Domini, Macerata 1920, foto Alfonso Balelli, Biblioteca Comunale Mozzi-Borgetti, Macerata
Processione del Copus Domini, Macerata 1920, foto Alfonso Balelli, Biblioteca Comunale Mozzi-Borgetti, Macerata

Come Dio volle la pioggia cessò verso le 5: vennero i bersaglieri di ritorno dai posti di guardia, e subito celebrai dinanzi alla loro baracca ingombra di cuccette. Distribuii la S. Comunione e, permettendo il tempo, dissi brevi parole sul testo “Manete in me et ego in vobis”. Poi i soldati andarono a gettarsi sui giacigli per riposare ed io, per non aspettare là la pioggia che minacciava, presi la via del ritorno… feci la mia processione, con un randello in mano per aiutarmi nelle aspre salite e sostenermi nelle ripide discese del monte… Un’ora buona di… processione, che mi fece arrivare bagnato corpo e vesti e fumante: dovetti mutar tutto. Cercai di riposare, e infatti si riposò il pensiero sui più dolci ricordi delle belle Funzioni e Processioni di Tolentino e di Fermo, sulle care visioni lontane di vie coperte di fiori, di case drappeggiate, di fiori cadenti a pioggia sul Re pacifico che incedeva tra i canti e l’incenso, tra le preghiere e le lacrime del popolo commosso. Fu questo il mio Corpus Domini.

Sono però fiducioso: il Signore non vorrà abbandonarci. Intanto le notizie dell’E. V. sul buon raccolto e sul morale delle popolazioni sono importantissime. Sono lieto anche dei restauri della nostra Cattedrale che finalmente volgono alla fine. Voglia benedirmi Eccellenza e dire per me una calda parola al S. Cuore di Gesù.

Dev. mo figlio in G. Cristo,
d. Giacinto Rascioni”. (2)

Processione del Copus Domini, Macerata 1920, foto Alfonso Balelli, Biblioteca Comunale Mozzi-Borgetti
Processione del Copus Domini, Macerata 1920, foto Alfonso Balelli, Biblioteca Comunale Mozzi-Borgetti

Alla fine della guerra, nel relazionare all’Ordinario Militare mons. Angelo Bartolomasi vescovo castrense la sua attività svolta come cappellano militare in merito all’azione religiosa, all’azione morale e ai risultati raggiunti, don Giacinto così scriveva: “Questo, Eccellenza, con tutta sincerità, è quanto ho potuto fare. E’ troppo poco? Non so: mi pare di aver posto tutto l’impegno a compiere il mio dovere e di non essermi risparmiato, ma se l’amor proprio mi facesse velo e mi nascondesse manchevolezze che altri vedessero e mi indicassero, umilmente le riconoscerei e ringrazierei con tutto il cuore”. (3)

Don Giacinto era nato a Fermo nel 1879 da Vincenzo e Maria Cecchinelli. Era stato cappellano nella chiesa del SS. Crocifisso di Tolentino e nel 1940, rientrato da Assisi, fu nominato vicario generale della diocesi tolentinate dal vescovo mons. Domenico Argnani. Morì a Tolentino il 15 marzo 1947.

Riferimenti archivistici e bibliografici:
(1) B. Bignami, “La Chiesa in trincea. I Preti nella Grande Guerra”, Roma, Salerno Editrice, 2014 p. 79.
(2) Archivio Diocesi Macerata, Ordinariato Castrense, b. 53, f. Ia Guerra Mondiale; Bollettino diocesano sett.-ott. 1940.
(3) V. Pignoloni, “I Cappellani Militari d’Italia nella Grande Guerra. Relazioni e testimonianze (1915-1919)”, Milano, Edizioni San Paolo, 2014, pp. 718-724.

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