Quando mi accolgono nel bungalow 26 del camping Medusa di Porto Recanati che, da ormai da oltre un mese, è diventata la loro nuova abitazione, la prima sensazione è quella di un calore e di una compostezza che nè le scosse, nè il disorientamento, nè la precarietà e nemmeno l’influenza («Ci devi scusare, ma siamo tutti sotto Tachipirina…») sono riusciti a smorzare.
La famiglia di Massimiliano Rossi e Simona Marziali si presenta così, in tutta la sua semplicità. Declinando gentilmente una video intervista ma raccontando, con irrefrenabile e comprensibile voglia di parlare, come il “mostro” li abbia catapultati in una inaspettata, incerta condizione.
Nella minuscola stanza ora adibita forzatamente a salotto, c’è un clima sereno, nonostante i malanni di stagione e un shock ancora da smaltire. Ci si adegua, grati per la pelle salvata e per la solidarietà ricevuta dalla gente della riviera. Originari di Roma, da nove anni Massimiliano e sua moglie avevano deciso di stabilirsi a Fiastra, lì nella terra in cui era nato il papà di Roberta, precisamente ad Acquacanina. Lui senza lavoro, lei accudiva un anziano del palazzo in cui vivevano ma che si è rivelato già inagibile dopo il terremoto di agosto che ha raso al suolo Amatrice.
La loro attenzione è rivolta senz’altro al futuro, ma ora la priorità sono i figli Valeria, Francesco e Pietro, rispettivamente di 14, 7 e 6 anni. La maggiore è dislessica e si reca al camping Pineta per trascorrere del tempo con i suoi coetanei sfollati. Pietro ha invece problemi di linguaggio e presto anche per lui verrà individuato il giusto percorso di sostegno. Intanto, non hanno perso il ritmo dello studio e frequentano le scuole, dai Salesiani di Porto Recanati: una conquista non da poco, considerando che i loro amici camerti, ogni mattina, debbono svegliarsi all’alba per tornare sui banchi e seguire le lezioni nella città ferita che hanno dovuto abbandonare.
Parliamo del terrore e del ricordo di quella corsa lungo le scale per scampare al peggio, della fuga dal modulo sociale in cui si erano sistemati provvisoriamente (con il papà rimasto a dormire in auto per notti intere…), della fatica di uno dei maschietti a mangiare dopo il trauma. Roberta parla con voce sicura, ma quando descrive «quel boato arrivare dai monti, a preannunciare il ribollire del suolo, come se sotto ci fosse un vulcano» l’emozione trapela. Oggi, ogni minimo segnale, ogni sottile movimento riporta la memoria a quegli istanti impossibili da cancellare. Ma «siamo tutti vivi, siamo insieme: questo conta», confida con un filo di voce la mamma. Come un fiume in piena, il ricordo si incentra sul dramma, ma tra le crepe delle mura spaccate e degli animi stravolti, passa una luce. Inconfondibile, perchè il nuovo capitolo che si aprirà per le loro esistenze è fatto di incognite ma anche di fiducia sconfinata in Dio.
Esco dalla casetta che dovrebbe racchiudere la spensieratezza delle vacanze, e che invece custodisce le preoccupazioni e le aspettative di tanti padri e madri che, come questi due ragazzi, si confrontano ora con un domani tutto da riscrivere.
Elaborare il “lutto” con cui fratello Terry ha segnato il cuore di ciascuno non sarà un processo facile e scontato. Serviranno mesi, forse anni per permettere alla serenità di albergare nuovamente in queste esistenze scombussolate eppure pronte a reagire.
Riecheggia la domanda tra chi ancora un tetto e un lavoro ce li ha. «Cosa possiamo fare per queste persone?». Forse, l’Avvento, questa parentesi di attesa, può realmente esserci propizia, perchè il mettere a disposizione il proprio (prezioso) tempo ascoltando, semplicemente, e condividendo con delicatezza e attenzione il vissuto di ogni storia può rappresentare, per molti di loro, il regalo più bello.