
Nel senso più generale, il termine “investire” significa collocare qualcosa in attività o acquisti che ne determino l’aumento o lo sviluppo. Ad esso, possono essere collegate altre due parole: “riutilizzare” e “riciclare”. Con la prima si intende la volontà di utilizzare ancora qualcosa, che sia per lo stesso scopo o per uno diverso; la seconda, invece, si riferisce al rimettere in circolazione, al recuperare qualcosa e riutilizzarlo.
Nella realtà maceratese l’insieme dei significati intrinseci di questi termini possono essere ricondotti ad un unico nome: “Reinvestire”, un progetto nato da pochi anni il cui responsabile è Alessandro Ruggieri, un ragazzo di trentadue anni che ha deciso di creare qualcosa di nuovo utile per la città stessa e per la società in generale. È lui stesso a raccontarci di questo progetto nell’intervista che abbiamo realizzato.
In cosa consiste “Reinvestire” e da dove è nata l’idea?
Reinvestire è un progetto che mira alla valorizzazione delle donazioni di vestiario raccolte nella diocesi di Macerata. Raccogliamo, smistiamo e distribuiamo vestiario usato trasformando beni inutilizzati, che rischierebbero di diventare rifiuti, in un aiuto per chi si trova in difficoltà (sia a livello locale collaborando col servizio “Emporio della solidarietà” della Caritas, che raccogliendo fondi per le opere missionarie). Il progetto è nato dall’incontro di diversi attori e organizzazioni operanti nel sociale a Macerata (in primis dalla collaborazione tra Ufficio Missionario Diocesano e Caritas Diocesana già attivi nel riuso degli indumenti) accomunati da visioni e scopi affini su temi come ambiente, riuso, valorizzazione di risorse inutilizzate, promozione del volontariato, solidarietà e lotta alla povertà. Per quanto mi riguarda nel 2013 mi trovavo a Londra, dove avevo lavorato in un charity shop che mi aveva molto colpito; pertanto al mio ritorno in Italia ho voluto provare a creare qualcosa di simile, per poter unire il riuso, così da avere un impatto positivo sull’ambiente, alla moda a basso costo e alla raccolta fondi, in modo da ottenere un discreto impatto sociale. Quindi ho subito cercato organizzazioni/collaboratori che fossero interessati a sviluppare tale modello nel nostro contesto: ho trovato la Caritas e il Centro Missionario, con cui abbiamo iniziato poi una collaborazione. In particolare, credo che il Centro Missionario sia il posto più interessante di Macerata, perché al suo interno si incontrano tantissime culture tutte diverse fra loro. È un ambiente a dir poco scoppiettante, al funzionamento del quale contribuiscono in molti, da me ai tanti volontari. È un luogo che mi dona sempre nuovi stimoli.
Come funziona nel dettaglio questo progetto?
Raccogliamo le donazioni di vestiti usati nelle parrocchie partner del progetto, li prepariamo e li avviamo al riutilizzo presso il Centro Missionario Diocesano distribuendo il vestiario in due modalità:
1) gratuitamente per chi non può permettersi di pagare, in seguito ad una verifica dei bisogni, attraverso la card dell’“Emporio della solidarietà” Caritas;
2) ceduti ad una modica cifra per tutti gli altri allo scopo di raccogliere fondi per le opere missionarie.
Che tipo di donazioni arrivano al centro? E i vestiti non buoni dove vanno a finire?
Riceviamo indumenti di ogni tipo, accessori biancheria e tappezzeria: uomo, donna, bambino, scarpe, borse etc., da abiti “normali” a capi di lusso, da sposa, costumi di carnevale etc. In generale c’è una maggioranza di vestiario “classico” da donna e bambino, mentre riceviamo meno indumenti da uomo (questo a causa, immagino, di un maggiore uso e ricambio di guardaroba da parte delle donne e dei bambini). Tra le donazioni che ci arrivano non tutti i capi sono riutilizzabili: alcuni per le loro condizioni (vecchi, usurati, danneggiati etc.) alcuni perché troppo lontani dai trend di moda attuali e semplicemente nessuno li indosserebbe. Bisogna in effetti sfatare l’idea che gli utenti del nostro servizio vivono in una condizione di emergenza vestiario che li costringe a indossare qualsiasi cosa riescano a reperire; al contrario la maggioranza delle persone che vengono al centro missionario sono alla ricerca dell’”affare”, del capo bello/di marca gratis o buon mercato. Come già accennato le quantità di vestiario che gestiamo sono enormi (tonnellate che vengono raccolte, smistate e distribuite ogni mese) e quindi non tutti gli indumenti possono essere avviati al riutilizzo sul nostro territorio (per le ragioni spiegate prima o semplicemente perché non esiste una domanda abbastanza vasta da poter assorbire tutti gli indumenti raccolti). Si genera così un surplus di materiale che viene comunque recuperato da aziende specializzate nel riciclaggio tessile.
La cittadinanza ha accolto favorevolmente il progetto oppure hai avuto delle difficoltà nel percorso?
L’attività è una riorganizzazione di qualcosa che era già presente sul territorio in varie forme; noi la stiamo rielaborando, ma non abbiamo ancora un nuovo feedback corrispondente a questa nuova modulazione. In passato chiaramente il riscontro è stato assolutamente positivo, la gente risponde in maniera molto forte a questo tipo di attività (arrivano tante donazioni e ci sono molti volontari che ci aiutano). Inoltre la circolazione delle persone è sicuramente molto elevata e l’argomento interessa e coinvolge molto.
Chi sono i volontari che collaborano con te? E quanto è importante il loro sostegno in quest’idea?
I volontari sono moltissimi; provengono sia dalle parrocchie che dal servizio civile e dal servizio volontario europeo. Poi ci sono le molte volontarie del CIF (Centro Italiano Femminile), i volontari scout, oppure coloro che non fanno parte di reti associative, ma che si sono interessati a quello che facciamo. Sono tutti fondamentali in questo progetto, proprio perché il lavoro da fare è tanto e le esigenze delle persone che si rivolgono a noi sono molteplici e variegate. Per questo, ritengo sia fondamentale creare una struttura che li formi, li coordini e li guidi nell’attività di volontariato.
Oltre a “Rein-vestire”, hai altri progetti per il futuro?
Sto lavorando a qualcos’altro sempre inerente a questo tema, che però va ampliato con una ricerca approfondita sul territorio nazionale. Mi aspettavo che tutto questo si potesse costruire in maniera facile, ma mi sbagliavo; quindi vorrei fare un passo indietro e fare ricerca in Italia, per vedere come si stanno muovendo le altre Caritas. Questo tema, infatti, le coinvolge tutte, perché ognuna di esse raccoglie vestiti, e ogni parrocchia/associazione si è inventata diversi modi per poterli gestire che però non sembrano funzionare al meglio. Quindi vorrei cercare in questa mia impresa di fare uno studio approfondito per provare a valutare quali sono i metodi migliori per far funzionare tutto il ciclo. A livello personale, invece, sono appassionato di musica e fotografia: infatti ho un gruppo musicale, che si chiama “Nananana”, e ho lavorato come fotografo di moda, quindi intendo sicuramente proseguire in questi percorsi.