Diana Papa*

Tante persone ancora oggi pagano spesso con la vita la fedeltà a Cristo. E allora, ha ancora senso parlare di Vita Consacrata? Ogni anno, quando il 2 febbraio si celebra la giornata di preghiera per le donne e gli uomini consacrati, come si può far memoria di chi, in questo tempo, continua a vivere con passione il Vangelo di Cristo sulle strade del mondo o nella stabilità? È diffusa l’idea che la Vita Consacrata sia in crisi, almeno in occidente: è proprio così? I giovani consacrati sono i giovani di oggi che vivono ancora l’adolescenza prolungata e non affrontano sistematicamente con responsabilità, anche per mancanza di accompagnamento spirituale, la fase non compiuta. Sono giovani che non liberano, di solito, la capacità di dono, né sempre maturano il senso di paternità e maternità, infatti faticano a “lasciarsi evangelizzare” (Papa Francesco) e continuano a comportarsi come figli indipendenti. Hanno paura del “per sempre”, si affannano a cercare con ogni mezzo l’autorealizzazione, dimostrando di annaspare a volte in un “grande vuoto esistenziale” (Papa Francesco). Se questi aspetti non si affrontano in tempo debito, prima o poi scoppiano anche nella vita del consacrato.

Forse questo è un tempo propizio per riflettere e rivisitare le domande profonde di senso e per capire su quali coordinate si snoda l’esistenza delle donne e degli uomini consacrati, com’è la qualità delle relazioni, quale capacità hanno di riconoscere lo spazio sacro tra Dio e ogni persona, tra sé e il prossimo. Chi sono concretamente i consacrati, non solo per il villaggio globale, ma anche per la Chiesa universale e particolare? Sarebbe interessante, dopo l’anno di celebrazione voluto da Papa Francesco, raccontarsi le varie esperienze o iniziative vissute nella propria diocesi, per capire quale consapevolezza ha maturato il popolo di Dio circa il dono di Gesù della Vita Consacrata. È luogo comune pensare che i consacrati di fatto siano esclusi dalla storia. In realtà, spesso sono coloro che, sull’esempio di Gesù, si coinvolgono nella vita degli ultimi e camminano con i rifiutati del mondo, scegliendo di separarsi dalla “mondanità” (Papa Francesco) e non dalla storia amata da Dio.

È urgente, perciò, che le Chiese aiutino a liberare nel popolo di Dio, nei laici e nei consacrati, le energie da vivere in modo sinergico, per poter essere insieme in questo mondo così bello e martoriato e per diffondere la speranza attraverso “la vita buona del Vangelo” (Cei). L’accoglienza della ricchezza di ogni dono dello Spirito fa sì che la testimonianza autentica passi attraverso tutti gli stati di vita presenti nel popolo di Dio: ignorarne o emarginarne uno, è impoverire la stessa Chiesa. Presentando Cristo tutto intero al mondo, si può rendere credibile la presenza di Dio nella vita delle persone, nella storia, nel creato. La chiara identità dell’uno arricchisce con amore senza fine quella dell’altro, senza confusioni e senza condizioni. Mentre gli sposi testimoniano la tenerezza dell’Amore Trinitario vissuta come atto liturgico nella comunione profonda tra loro, le donne e gli uomini consacrati, nella contemplazione o nel servizio diretto alle sorelle e ai fratelli, dicono con l’esistenza che Dio esiste, che Dio è amore e che si prende cura dell’umanità sempre. Nessuno si salva da solo.

Si può sognare allora un mondo dove laici e consacrati possano partire da Cristo e camminare insieme, scrivendo nuove pagine di storia che raccontino con la vita la presenza del Risorto? Si può sognare che insieme possano “mantenere la freschezza e la novità della centralità di Gesù, l’attrattiva della spiritualità e la forza della missione, mostrare la bellezza della sequela di Cristo e irradiare speranza e gioia” (Papa Francesco) nel mondo? Potrebbe essere questa una sfida che ci attende?

*abbadessa monastero Clarisse Otranto

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