Solo a sentirli nominare vengono i brividi: Altafini, Anastasi, Boninsegna, Riva, Rivera e Vinicio. Nomi di un calcio scomparso ma non dimenticato, sportivi che oggi la stampa altisonante chiamerebbe “fenomeni”. Eppure così uomini, dentro a un rettangolo d’erba o di polvere, dalle periferie del mondo agli stadi di Serie A. Dalla periferia è partito, per poi farvi ritorno, anche Giuseppe Brizi, detto “Pino”, maceratese doc, classe 1942. Il calcio di cui ha fatto parte, assieme ai campionissimi citati, è quello a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta.
A formarlo, giovane difensore, la squadra salesiana della Robur 1905, prima del passaggio alla più blasonata Maceratese. Poi, con l’età adulta, la sua “stoffa” si colora del pregiato viola gigliato della Fiorentina. Aveva 20 anni Brizi all’esordio in Serie A, avvenuto nella stagione 1962–63. Con negli occhi gli anni passati all’oratorio di Macerata: «Dovunque abbia giocato ho tenuto stretti i valori che si tramandavano al “Don Bosco” – precisa –, anche da ragazzino, quando l’amicizia faceva da collante durante le partite di pallone, tra un torneo e l’altro del centro sportivo». Il salto nel calcio che conta è immediato: un anno e mezzo passato alla Maceratese è sufficiente per convincere gli osservatori della “Viola”.
Brizi ha fatto suoi i valori dei Salesiani anche nel calcio professionistico
«Per me fu una gioia immensa – ammette Brizi –, da sempre tifoso della Fiorentina mi sarei ritrovato ad allenare con i miei idoli e, poco tempo dopo, senza neppure immaginarlo, ad entrare nella storia della società ». Passano pochi anni è la squadra, oggi proprietà di altri due marchigiani d’eccezione come i fratelli Andrea e Diego Della Valle, diventa a sorpresa Campione d’Italia per la seconda volta. Il campionato 1968–69 segna l’apice della crescita della cosiddetta “Fiorentina ye–ye”, connotata dalla presenza in rosa di molti giovani, come Brizi, e valorizzata dal grande allenatore Bruno Pesaola, “il petisso”. Lo scudetto è vinto ai danni di Cagliari e Milan: capitano è Giancarlo De Sisti, mentre Brizi, titolare, colleziona 25
presenze.
Brizi vince lo scudetto con la Fiorentina nel campionato 1968-69
«Ora i calciatori vengono seguiti fin dalla scuola calcio. è più facile “arrivare” ma alcuni si perdono presto – afferma –; se penso a quegli anni mi viene quasi da ridere: il talento emergeva davvero e non c’era spazio per molte sciocchezze. Il primo pensiero non era il denaro ma il campo – continua –, e il rispetto, insegnato dall’oratorio, era un valore fondamentale sia con i compagni che quando si incontravano gli avversari». Sembra commuoversi poi Brizi quando ripercorre i suoi esordi e torna in mente un ricordo particolare ancora una volta legato al campo dei salesiani: «Non posso non pensare a don Ubaldo Paciaroni, alla sua attenzione per la crescita dei giovani e al regalo che mi fece tanti anni fa: un buono per comprare le mie prime scarpe da calcio».
Don Ubaldo Paciaroni regalò a Brizi il suo primo paio di scarpe da calcio
Con quelle scarpette “Pino” ha iniziato una carriera che l’ha portato per 14 anni ai massimi livelli dello sport che amava. Un’impronta lasciata non solo tra le pagine degli almanacchi ma, dal 2012, anche nell’Hall of Fame all’interno del museo viola. Riconoscimento che la Fiorentina ha rinnovato ufficialmente lo scorso anno invitandolo alla festa per i suoi 90 anni e attraverso il tributo dei tifosi allo stadio Artemio Franchi.