Roberto Anteghini

«Sei drogato? Vai a farti curare!». Sentirsi dire questo è per un tossico un primo altissimo ostacolo. Sì, perché nel momento in cui lui prende coscienza di essere dipendente da sostanze, di non poter smettere quando vuole come aveva sempre detto, allora quello è il preciso momento in cui, toccato il fondo, prova a risalire. Nello stesso momento in cui ha coscienza di sé, si rende conto di non essere ancora morto nel corpo (il cervello, lo spirito e l’anima se ne sono andati già da tempo) e dà uno scatto di reni per iniziare la lunga strada della disintossicazione. Prima, ogni cosa che gli viene detta è per lui impossibile, incomprensibile. Chi si droga non va a farsi curare semplicemente perché ritiene di non essere drogato. Punto.

Paola Olmi e Simone Riccioni

Venerdì 21 aprile, nella chiesa del Buon Pastore a Collevario di Macerata, in collaborazione con la Rete per l’Educazione, si è tenuto un incontro con Roberto Anteghini e Simone Riccioni. Autore ed editore, rispettivamente, del libro Salvato da un maledetto destino, finito di stampare a febbraio.

La pubblicazione racconta un’avventura umana difficile e travagliata, una storia vera, che molti credono di conoscere, ma che pochi sanno veramente, perché solo chi la vive può narrarla con tale crudezza. Il protagonista di questa storia, Roberto Anteghini, riferisce in prima persona il suo percorso dalla dipendenza alla riconquista di sé, dalla schiavitù della droga alla libertà dell’amore. Il libro regala dettagli che fanno comprendere le sofferenze più acute e i segreti più nascosti da cui si capisce come la droga, l’alcol e altre dipendenze non siano la causa bensì l’effetto di un vuoto umano e spirituale.

Ed era un altro febbraio, quello del 1963, quando don Pierino Gelmini, mentre percorreva piazza Navona, a Roma, veniva fermato da un giovane tossico, seduto sui gradini della chiesa di Sant’Agnese, che gli chiese aiuto. Da quel giorno don Pierino decise di fondare la Comunità Incontro per aiutare le vittime di droga, alcol e altro.

Roberto Anteghini, vicino ai cinquant’anni, sembra un ragazzo. È sorridente, sereno, a volte addirittura timido. Non è stato sempre così però; per quasi metà della sua vita è stato molto diverso. Nato nel 1968 in provincia di Ferrara, poi trasferito nell’Ascolano, già da piccolissimo è molto irrequieto. Qualche esempio? A 11 anni inizia a fumare Marlboro, a 13 le sigarette taroccate (le canne), poi approda all’LSD che, gli era stato detto essere una roba leggera. Non c’è un acido che non conosca e pasticca che non abbia ingoiato. E via fino a diventare eroinomane. Ovviamente le droghe andavano in compagnia delle persone più sballate, dello spaccio, del sesso azzardato, della incoscienza di vivere e di essere sempre sul punto di morire.

Cosa significa essere ex tossico?
«Non significa nulla – risponde Anteghini – un tossico che non si fa da decenni, come me, non è un ex tossico ma un tossico che ha smesso. La droga è sempre in guardia e chi si è drogato ne è sempre potenzialmente attratto».

Cesarina, mamma di Roberto

Sei stato un bambino e un ragazzo ribelle?
«Sì, ero diabolico. Mi piaceva appiccare il fuoco; una volta ho segato in due l’auto di mio padre, che ho più volte minacciato di morte; spaccavo porte e finestre quando venivo contraddetto o quando non potevo procurarmi la roba. Facevo degli scherzi al parroco che mi vergogno a raccontare, comunque sono scritti nel libro. Quando lo racconto la gente non ci crede» dice ammiccando un sorriso mentre la mamma Cesarina è lì, come sempre in prima fila; lo guarda e gli occhi si riempiono di lacrime. È così ad ogni presentazione. Per lui è una catarsi avvenuta, per lei è un rivivere attimo per attimo i dieci interminabili anni e cioè dai 13 ai 23 di suo figlio Roberto.

Cosa era per te la cocaina?
Il richiamo della droga è irresistibile. La cocaina era per me la mia donna fedele, quella per cui vivevo e che non mi abbandonava mai. Io andavo anche con tre ragazze contemporaneamente e dovevo stare attento a non farmi scoprire. Con “lei” non avevo problemi. Sapevo sempre dove andarla a cercare. Era il mio primo pensiero al risveglio e il mio ultimo quando andavo a dormire. Non esisteva altro. Non c’era il futuro, non c’era il passato. Solo il presente nella ricerca di “lei”.

Roberto Anteghini

Roberto esce dalla droga e, contrariamente alla stragrande maggioranza dei suoi amici, non muore. Capisce che essere sopravvissuto ai suoi dieci anni di inferno deve essere testimoniato. Non può essere vivo per nulla. Così da tempo va nelle scuole o a incontri vari per testimoniare la sua storia e per focalizzare l’attenzione sulla prevenzione.

Quando vai fra gli studenti cosa accade?
«Beh, innanzitutto devo dire che vedo circa 500 ragazzi ogni anno e ognuno ha un atteggiamento che riconosco immediatamente. Le ragazze sono straordinarie, mi ascoltano e si commuovono. I ragazzi (e le ragazze) che si fanno le canne, li riconosco al volo, generalmente si siedono in fondo, lontanissimi. Mi guardano di traverso e rimangono per tutto il tempo con le braccia conserte, in atteggiamento di sfida»

I genitori e i professori cosa dicono?
«Generalmente mi ringraziano per la mia testimonianza così schietta. A volte rimangono choccati, a volte mi chiedono consiglio perché, magari, non vogliono far sapere che la loro figlia, o figlio, è un tossico. Io consiglio loro di aprirsi, di chiedere aiuto. Non si può fare nulla da soli».

Emanuele Ciccarelli

E ascolta, lui come tutti i presenti al Buon Pastore, l’intervento di Emanuele Ciccarelli, sostituto commissario della Polizia di Stato a Macerata che spiega il servizio di repressione dei reati inerenti gli stupefacenti e come ai suoi figli racconta il lavoro in operazioni che, purtroppo, si concludono spesso nel peggiore dei modi.

Siete distanti di età e di professione, come vi siete incontrati, tu e Simone, in questo libro scritto con Jonathan Arpetti?
«Ho avuto occasione di conoscere Roberto – spiega Riccioni, attore, autore, produttore, stavolta in veste di editore per la Linfa – tramite una conoscenza comune e cioè Anita Mancini, presidente dell’associazione Genitori Oggi Onlus. Roberto faceva testimonianze in giro per allertare e per incoraggiare la prevenzione. Io l’ho ascoltato e l’ho trovato irresistibile. Lui stava scrivendo un libro e cercava un editore. Il resto lo sapete».

Nella prefazione, scritta da monsignor Giovanni d’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, si legge «pagare di persona senza ricerche di tornaconto è l’unico modo per aiutare gli eroi di un maledetto destino come Roby, a diventare protagonisti di speranza in questo nostro tempo che è il tempo dei nuovi eroi del quotidiano». Roberto ha pagato di persona e così la sua famiglia: i genitori e la sorella. Ora mette la faccia in ogni occasione e va dove lo invitano per dimostrare come ci si può trasformare. «Grazie a don Pierino – dice – perché per merito suo e dei ragazzi della comunità ho riscoperto la fede e mi sono reso conto che c’era qualcuno che mi voleva bene e che si dava da fare seriamente per aiutarmi».

Vai ancora in Comunità?
«Certamente, quanto si è stati lì, si è diventati responsabili di alcune attività e si sono lasciati tanti amici, non si può andare via per sempre. Io ci torno tre o quattro volte l’anno e soprattutto mi emoziono ogni 26 dicembre, la data in cui chi ha terminato il suo percorso, lascia la comunità. Io l’ho lasciata il 26 dicembre 1995. Ero entrato il 10 giugno 1993. Ogni volta che vado provo un’emozione profonda e bellissima».

Chi trovi in comunità?
«Ecco, molti credono che ci siano solo giovani sballati che si bucano o sniffano da anni. Non è vero. In comunità c’è chi si è bruciato il cervello facendosi “solo” le canne che oggi sono venti volte più pericolose di quando me le facevo io. E poi lì ho incontrato e incontro anche ingegneri, architetti, professionisti quarantenni, insomma persone insospettabili».

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