«Ma chi avrà perseverato sarà salvato». Con questa frase scritta nel cuore siamo partiti lunedì 7 agosto alla volta della terra africana. Ignari di quanto ci sarebbe accaduto, pieni di curiosità e di trepidazione, abbiamo preparato valige piene di oggetti familiari e di affetti, salutato amici e genitori e attraversando il cielo, in un giorno e mezzo di viaggio, abbiamo raggiunto Lomè. Perserverare è stata certo la parola chiave di questa esperienza.

Senza la fiducia in un Dio che è sempre Padre provvidente, impossibile muovere anche solo un passo in questa terra bruciata dal sole, dalla storia, dalla fatica, dalla vita. Una terra “scura” non solo per la pelle di chi ti viene ogni giorno incontro, ma anche scura di sofferenza e povertà, eppure al tempo stesso talmente intrisa di colori di vita che quello che alla fine senti scorgare improvviso nel cuore è sempre un moto di gioia. In Africa sono tutti felici e sorridenti. Sarebbe davvero il regno dei balocchi, se fosse così. Poveri e felici. Anche questa forse è una percezione alquanto paradossale. Chi è povero, chi non ha di che vivere e mangiare, chi cammina scalzo non per scelta ma per mancanza, chi, piccola anima, al finestrino di una macchina ferma al semaforo ti tende una mano e chiede cibo mentre nell’aria resta solo la polvere di un impacciato silenzio, non credo sia felice. Anzi non lo è, e non è neppure giusto che lo sia. Eppure, anche di fronte alle immagini più strazianti di questa terra, pur sempre madre dei suoi figli, anche di fronte ad una donna che partorisce a terra una nuova piccola vita destinata alla polvere e alla fame, anche di fronte a tutto questo, tu osservatore attonito senti tutta la forza della vita che fuoriesce e grida la propria esistenza. Questa è la voce forte dell’Africa che in questi anni abbiamo incontrato. La voce di un popolo mite, che cammina senza fermarsi, che lotta, che spera. Poveri e felici. Non credo. Ma poveri e pieni di fede, questa è la profonda verità che quando la tocchi sulla pelle non ti lascia in pace e neanche più come prima.

Perseverare… è sillabando timidamente questa parola che ancora una volta siamo tornati a toccare questa terra, la terra dei frati minori della Provincia del Verbo Incarnato, una moltitudine silenziosa ma operante, che senza sosta dona la vita per i più poveri, e per un sogno grande di Dio: “che la vostra gioia sia piena”. Con il gruppo dei giovani della Diocesi di Macerata e di Osimo abbiamo trascorso tre settimane tra Lome e Dapaong, proprio custoditi e accompagnati da questi angeli dall’abito grigio e dai sandali ai piedi. La prima settimana è trascorsa più leggera, il primo impatto, soprattutto per chi neofita è arrivato in Africa per la prima volta, è stato graduale, con tempi tranquilli, il servizio di due giorni alla pouponniere, la casa dei bambini orfani, e giri per la città incontrando bambini,  con cui semplicemente giocare. Bello anche condividere la festa della comunità delle clarisse di Akepè, monastero incantato, poco distante dal centro della città, dove il 12 agosto abbiamo celebrato i voti perpetui di una suora. La festa in Africa è un’esplosione di gioia, di gente, di danze, di grida, di corpi sinuosi e eleganti che volteggiano verso il cielo.

Si sta bene in Africa, forse il cibo non è sempre digeribile, ma a Lomè il caldo che ti accoglie ti fa ancora stare tranquillo. A Dapaong invece l’Africa comincia a parlare la sua lingua più vera. Il 16 agosto, con il sole ancora nascosto, si caricano bagagli essenziali e, stipati nel pulmino francescano, si prende la via per il nord. Un’unica strada collega Lome a Dapaong, un’unica strada, per lo più sconnessa e infinita. Il viaggio può essere solo vissuto, le parole tradirebbero la verità più profonda degli spostamenti in questa terra. Dopo dodici interminabili ore, si apre di fronte a noi il cancello che nella penombra della sera ci accoglie nella casa del noviziato di Dapaong.

Lo scenario del nord ha tutto un altro sapore e altre suggestioni. Siamo nella savana, stagione delle piogge, foresta verdeggiante e dagli orizzonti sterminati, baobab, alberi di tek, strade rosse di un’intensità che incanta. Aspettiamo nel cuore della notte africana. I novizi sono intenti a prepararci le stanze. C’è movimento frenetico nella casa, mentre stanchi attendiamo il futuro attaccati per sicurezza all’esile filo del wifi. Sarà una fugace illusione. Il nord ci attende per raccontarci il volto più vero dell’Africa scura, quella della miseria, della fatica, della fragilità, del coraggio, soprattutto di tante donne madri, madri nonostante tutto.

A Dapaong restiamo fino al 24 agosto. Giorni lunghi, intensi, giorni di Africa che si scioglie dentro, ti scioglie dentro. A Dapaong non sei più turista, né solo osservatorie di una realtà che ti passa accanto. Qui inizia l’esperienza più profonda, quella che ti fa toccare con mano ogni giorno che in questa terra tutto è più vero: “le banane sanno di banana, il verde è davvero verde”, la malattia e la morte sono compagne ogni giorno di vita. E i bambini, arrivano ogni pomeriggio nella scuola di Dapaong, a frotte, ogni giorno più numerosi, vivaci, curiosi, sono la radice di questa terra e sono lì ogni giorno ancora prima di noi, pronti a giocare, cantare, urlare che nonostante il diverso colore della pelle siamo tutti davvero fratelli.  Non ci puoi fare niente, in questa terra puoi solo prendere per mano la tua vita e quella di chi ti è accanto, perchè solo restando insieme quello che accade ha senso, e il senso più vero è tutto nella condivisione. I giorni trascorsi a Dapaong ci hanno fatto incontrare storie straordinarie, di donne e di uomini che si spendono ogni istante per donare e restituire speranza di vita, proprio lì dove il tuo sguardo fragile si perde e si chiude nella tristezza: mamma Rita con i bambini malati di aids, la suora polacca dell’ospedale per bambini e madri di Najundi, Simeon e Raul custodi instancabili del college di Dapaong. Sono volti, gesti e sguardi che non dimenticheremo mai. Perchè sono il volto straordinario di quel Dio che qui senti davvero come Padre e a cui chiedi, implori, gridi aiuto, soprattutto se in una notte scura d’ospedale sei sola, accanto ad una vita febbricitante e bagnata di sudore che puoi solo affidare a chi di quella vita è il vero autore.

L’Africa ti scioglie dentro e ti regala la verità più straordinaria che si possa intuire: la vita è proprio benedetta, la vita povera, fragile, piccola, la vita comunque sia, è perfetta, ed è un dono immenso da custodire sempre. Abbiamo lasciato il Togo, nella Notte della creazione, la festa che ogni anno i frati minori vivono nella parrocchia di Anoukope, salutando tutti con una canzone che sa di futuro: “Domani, domani lo so che si passa il confine e davvero la vita sembra fatta per te!”.

Che questo domani abbia già il sapore di oggi, un oggi benedetto, un oggi in cui fare memoria delle meraviglie viste, un oggi in cui sentirsi grati, un oggi in cui scegliere con coraggio, semplicemente la vita. Un oggi sempre di Dio.

 

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