«Sapete bambini, questa è l’ultima volta che veniamo a giocare con voi».
«No! Perché? Dove andate?».
«Purtroppo dobbiamo andare a lavorare da un’altra parte».
«Non potete restare con noi?».
«Temo proprio di no, piccoli. Però vi promettiamo che verremo a trovarvi molto presto. Vi vogliamo bene!».

Con queste parole e con un pizzico di tristezza nel cuore, ieri abbiamo salutato i nostri splendidi bambini che, a causa del terremoto che quest’anno ha colpito il nostro bel territorio, vivono nei container situati a Tolentino. Perché lo abbiamo fatto? Perché il prossimo 9 ottobre il nostro servizio civile giungerà a termine.
Sembra ieri che abbiamo iniziato questo anno, con tanta eccitazione e un pizzico di timore, e già siamo arrivate alla fine.

Abbiamo avuto la fortuna di far parte di un progetto per noi molto importante che si sviluppa nell’ambito del disagio adulto, dal nome «Solidarietà diffusa 2». Esso ha come obiettivo il sostegno e il supporto a persone che sono in difficoltà: parliamo del “disagio” in tutte le sue forme, dalla povertà economica, a problemi lavorativi e di integrazione, alla profonda solitudine e mancanza di assistenza. Si tratta di un progetto indubbiamente molto forte e intenso.

Non è stato facile abituarsi a una realtà che non conoscevamo e della quale avevamo solo un’idea preconcetta. Stare nei centri di ascolto, incontrare persone con problemi molto gravi e soprattutto cercare di offrire loro vari tipi di sostegno senza però risultare invadenti e senza farci coinvolgere travolgere dalle loro emozioni, non è stata assolutamente cosa semplice. Alle attività consuete di distribuzione viveri e vestiario, di supporto e orientamento nei centri di ascolto, si sono aggiunte altri due servizi: il sostegno a domicilio e l’emergenza del terremoto.

Nel primo servizio abbiamo incontrato non poche difficoltà, specie perché ci siamo rese conto che oltre ai vari problemi legati alla vecchiaia e alla salute, la maggior parte di questi anziani soffre di una profonda solitudine: nessuno si cura di loro, nessuno che fa loro compagnia, spesso nemmeno i loro familiari più prossimi. Abbiamo cercato di fare sempre del nostro meglio per non farli sentire soli e abbandonati: alla fine, non soltanto siamo riuscite nel nostro intento, ma abbiamo creato dei legami molto importanti e profondi, che porteremo nel cuore per tutta la nostra vita. In particolare, non dimenticheremo mai la nostra signora Angela, “zia acquisita”, amica vera e sincera, che sempre ci ha appoggiato, spronato e sostenuto nel nostro cammino, e verso la quale proviamo un affetto smisurato, che non si può comprendere se non lo si è mai provato sulla propria pelle.

La seconda attività che si è aggiunta è appunto legata all’evento del terremoto, talmente devastante da diventare per noi lo spunto per il nome della nostra rubrica, “Scosse Civili”. Quel ricordo si è talmente impresso nella nostra mente che spesso ci ha impedito, specie nei giorni successivi all’evento, di svolgere il nostro servizio, andando a far vacillare molte sicurezze nostre e della sede che ci ha ospitato. Pian piano, però, grazie al nostro OLP, ai vari collaboratori, al direttore e alla nostra responsabile del servizio civile in Caritas, nonché al bel legame che si è andato a creare tra noi civilisti, siamo riusciti a superare tutto questo e ad andare avanti, consapevoli che la ferita non si sarebbe rimarginata tanto presto, ma che avevamo ancora troppo da dare agli altri per restarcene in panchina a guardare.

Non nascondiamo che durante questo anno abbiamo attraversato diverse difficoltà: siamo partite in quattro e a fine servizio siamo arrivate in due; ci sono stati spesso scontri e incomprensioni tra noi e con le varie persone che ci accompagnavano, scontri che qualche volta hanno portato ad un calo di motivazione e, non lo nascondiamo, all’inevitabile voglia di mollare tutto. Ma sono proprio questi eventi ad averci reso quello che siamo oggi: ragazze cresciute professionalmente e personalmente, che hanno saputo trasformare gli ostacoli in il loro punto di forza per ripartire, che hanno imparato a valorizzarsi, a non arrendersi, ad avere coraggio.

Il coraggio di essere sé stesse a dispetto delle circostanze, il coraggio di affrontare momenti davvero duri che quasi ti tolgono il respiro, insomma, il coraggio di andare contro corrente.

Non possiamo non ringraziare tutti coloro che ci hanno accompagnato in questo percorso. Grazie Mario, per essere stato per noi un silenzioso e discreto punto di riferimento e per averci accolto in questa grande famiglia chiamata Caritas. Grazie Giulia, nostra colonna portante, tramite sincero e leale, guida nei momenti bui, sostegno saldo nelle ansie e nelle angosce, porto sicuro nelle tempeste: sei la comprensione e l’amore fatti persona, sei una Donna con la “D” maiuscola, sei qualcuno che ha ancora tanto da dare. Siamo state fortunate ad averti al nostro fianco: resta sempre così come sei. Grazie ad Emanuele, il nostro OLP, che ci ha sempre sostenuto e motivato nel nostro lavoro e nelle nostre difficoltà e ci ha insegnato davvero tanto, non solo nel servizio che abbiamo svolto, ma anche per la nostra vita e il nostro futuro. Grazie a tutti i nostri colleghi civilisti degli altri progetti, veri amici e sinceri compagni di viaggio, impareggiabili e insostituibili: vi vogliamo bene!

Grazie a tutti i collaboratori della Caritas, a tutti coloro che hanno lavorato al nostro fianco nelle varie sedi di servizio, a tutti quelli incontrati per la via che ci hanno regalato qualcosa, ognuno di loro ci ha insegnato qualcosa, ci ha spinto e motivato per raggiungere i nostri obiettivi, ci ha fatto conoscere la propria realtà e ci ha fatto entrare nel loro mondo. Sono situazioni alle quali è impossibile restare indifferenti, che tirano fuori il nostro meglio; per questo saremo sempre grate. Non saremmo quello che siamo oggi senza di voi.
Ora basta davvero, bisogna per forza smettere di scrivere. Ci piacerebbe concludere con una frase di una canzone dei Negrita che calza a pennello con questo anno vissuto insieme:
«Tra una botta che prendo e una botta che do, tra un amico che perdo e un amico che avrò, che se cado una volta, una volta cadrò e da terra, da lì m’alzerò… C’è che ormai che ho imparato a sognare non smetterò!».

Arrivederci a tutti e un grande in bocca al lupo per il futuro!

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