«Andate e ammaestrate… io sono con voi tutti i giorni». La comunità dei credenti non può che essere missionaria, non può non andare ad annunciare dovunque la salvezza. Questo ci ha ricordato domenica 18 febbraio don Salvatore, al terzo incontro del cammino missionario.

Una quindicina di giovani presenti, all’alba delle 9.30 di una normale domenica, riuniti nei locali della Parrocchia di San Francesco per riflettere insieme sul tema della missione. Perché partiamo? Ognuno ha la sua motivazione nel cuore e nella mente. Ma di fronte ad una domanda così centrale, per chi sta scegliendo di dedicare un tempo come quello estivo, in terra africana, non può non ergersi chiara la risposta che da secoli la Chiesa ha dato al suo bisogno ontologico di partire.

La Chiesa parte perché è missionaria, ed è missionaria dall’origine perché è mandata. Ed è mandata da un uomo che sulla croce ha gridato la parola più potente e vera per l’umanità: salvezza. «Se sei in un ospedale pediatrico, nel cuore della savana rossa, tra bambini che stanno morendo lentamente per malnutrizione e malaria, quale salvezza puoi annunciare? L’abbraccio che in un moto di compassione puoi muovere verso quell’esile corpo, per riempire quel dolore e il tuo vuoto, passa nella sua fugacità. Allora quale salvezza resta?». La Chiesa è missionaria perché non distribuisce abbracci, né parole compensative, ma annuncia una salvezza che ha il volto concreto della cura. Questa è l’autentica missione della Chiesa, la sua dottrina sociale: bene comune, solidarietà, sussidiarietà. Annunciare la salvezza significa imparare ad educarsi ad un bene comune; riconoscere che la terra non mi appartiene e che il bisogno dell’altro è anche il mio; liberare ogni uomo dalla condizione di dipendenza perché la salvezza piena è proprio nella capacità di ogni uomo di camminare con le proprie gambe.

«Mi sono fatto tutto a tutti per salvare qualcuno». Questo è il messaggio di uno dei più grandi evangelizzatori della terra, San Paolo. Per questo la Chiesa non smette di pronunciare la parola: «Vai». Per questo ci sono persone che donano tutta la loro vita al servizio dei poveri. «Ma perché – irrompe sibillino don Salvo nel silenzio attento degli astanti – è così importante annunciare la salvezza?». Nel mondo c’è il male e il peccato. Il male è ingiusto e non ha trovato altra giustizia di qualcuno che è morto per questo.
Allora, ha concluso, parto anche se non ho capito che Gesù è la salvezza, ma voglio cercarlo; parto per misurare con gli altri la verità del Vangelo; parto perché il male non mi piace. Ma prima ancora di partire scelgo oggi di restare, accogliendo la vita senza fuggire, e cercando nella vita che mi è data un modo semplice ma autentico per “dare” la vita. Questa è la più sublime missione della Chiesa e di ogni uomo: dare la vita.

Dall’incontro alla celebrazione eucaristica è stato un unico sentiero di condivisione in cui ad ogni presente è stato chiesto di affidare, simbolicamente attraverso un braccialetto, le proprie fatiche, tutto ciò che impedisce al cuore di rispondere alla chiamata missionaria. A conclusione ognuno è tornato a casa con il braccialetto e le fatiche degli altri da custodire in questo tempo di preparazione. Non ci si salva da soli, ma la salvezza è un cammino di consapevolezza, di scelte, di cura, di comunione.

E il cammino missionario continua sabato 3 nella domus san Bonfilio di Cingoli.

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