di Paola Seri Matcovich

Un giorno all’anno è troppo poco per ripercorrere sentieri storici poco battuti, però è già qualcosa per chi quel pezzo di storia lo ha realmente o indirettamente vissuto.

È l’occasione per condividere senza preconcetti e strumentalizzazioni una vicenda familiare a lungo conservata tra le mura domestiche. Una storia che da personale e privata diventa finalmente patrimonio culturale dello Stato italiano e restituisce giustizia e onore a chi ha difeso la sua nazione anche a costo della propria vita.

Convegno Unimc il 18 febbraio 2019

La Legge 92/2004 ha avuto il coraggio di concedere un giorno speciale, il 10 febbraio, al ricordo degli eventi accaduti in Venezia Giulia, Istria e Dalmazia alla fine della Seconda Guerra Mondiale e nel decennio successivo, così oggi la storia di quel periodo è meno oscura di quanto lo sia stata per lunghi anni postbellici.

Foibe ed esodo sono le due parole chiave degli eventi che hanno caratterizzato la vita degli italiani che vivevano in Venezia Giulia, Istria e a Zara quando quelle terre furono cedute alla nascente Repubblica Socialista di Yugoslavia in seguito agli accordi di Pace di Versailles del 1947.

Le foibe, cavità dei terreni carsici presenti nella zona nord–orientale del Friuli Venezia Giulia e dell’Istria, sono pozzi naturali dove furono gettati migliaia di cadaveri, ma anche persone ancora vive. A partire dal 1943 e fino al 1945 Pola, Parenzo, Rovigno, Trieste e Gorizia piansero migliaia di Italiani, ma anche Slavi politicamente non schierati, catturati con rastrellamenti. In alcuni casi, anziché le foibe, vennero utilizzate la cave di bauxite oppure, lungo la costa, i corpi vennero gettati in mare.

In questo clima di paura si colloca l’esodo, l’altro grande fenomeno di questa storia. La durata dell’evento fu molto estesa e legata alla progressiva occupazione delle truppe slave, con le prime partenze nel ‘43 in seguito all’Armistizio e le ultime nel 1955 dovute all’assegnazione delle terre al governo jugoslavo con il Memorandum di Londra, successivamente ratificato dal Trattato di Osimo del 1975.

Si calcola che il 90% degli Italiani residenti a Zara, Fiume e nelle città costiere giuliane e istriane, quantificati in circa 300.000 persone, lasciarono le loro terre e le loro case per sfuggire alle violente persecuzioni e preservare la propria identità: «Per l’Italia, anche l’esilio!».

Ricordare non basta. È importante ma non sufficiente se, insieme alla storia, non si trasmettono i valori e i sentimenti degli uomini che l’hanno vissuta. La maggior parte di quelle persone oggi non vivono più e ai loro discendenti è affidata la trasmissione della verità, come in una staffetta dove il “testimone” diventa un ricordo che passa dalla mano del più vecchio a quella del più giovane.

Ai giovani la responsabilità di correre le piste della storia «con la speranza nei cuori e le ali ai piedi» affinché la meta sia un mondo capace di imparare dai propri errori.

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