di Andrea Zaghi

“Tutto è iniziato una sera del 2016. Mi sono avvicinato ad un gruppo di sette ragazze per strada, ho chiesto loro se non avevano paura a fare quello che facevano e se non avessero sogni per il loro futuro”. Inizia così il racconto di Jorge Crisafulli, missionario salesiano, che nemmeno tre anni fa a Freetown, in Sierra Leone, ha avviato il programma Girls OS + per ragazze prostitute tra i 9 e i 17 anni. Ed è una storia d’affetto e di attenzione agli ultimi della terra quella che don Jorge insieme ai suoi confratelli sta vivendo. L’esperienza di Girls OS + è stata al centro di una serata a Torino organizzata dalle Missioni Don Bosco e che presto, dopo un incontro con alcune scuole torinesi, verrà raccontata direttamente al Santo Padre. “La Sierra Leone è al fondo di tutte le classifiche economiche, sociali, educative e sanitarie del mondo”, spiega don Crisafulli che continua: “E’ un paese che ha sopportato 11 anni di guerra civile che ha provocato 120mila morti e alla quale è seguita un’epidemia di Ebola che dal 2014 al2016 ha causato 4mila decessi. Terminata l’epidemia, ci siamo resi conto che nelle strade di Freetown erano molte le ragazze costrette a prostituirsi per cercare di racimolare l’equivalente di qualche centesimo di euro. Dovevamo fare qualcosa”.

Come avete cominciato?
La mattina dopo quelle sette ragazze erano al Don Bosco Fambul dove hanno potuto lavarsi, mangiare un piatto di riso caldo, riposare, ricevere vestiti puliti e hanno potuto essere visitate da un medico. Il giorno dopo ancora sono tornate in sei. Da lì è nato tutto. Trovata una casa, il passo successivo è stato quello di creare una squadra di persone che fosse in grado di reinserire le ragazze in una rete familiare e di assicurare loro adeguate terapie psicologiche e sanitarie. Abbiamo anche fatto riprendere loro la scuola, oppure iniziare a frequentarla, e insegnato un mestiere dignitoso.

I risultati?
Più di 125 ragazze in un anno e mezzo hanno usufruito del nostro programma. E’ la dimostrazione che

oltre alle leggi e al loro rispetto serve anche creare un ambiente protetto nel quale attenzione ed educazione sono elementi fondamentali.

Occorre insistere però: ogni giorno scopriamo problemi e difficoltà da affrontare.

Come si svolge la vostra attività?
Siamo in Sierra Leone dall’86, abbiamo iniziato a stare accanto ai bambini soldato durante la guerra civile, poi gli orfani dell’Ebola, adesso con le ragazze che si prostituiscono ma anche con i bambini di strada, quelli in carcere. Ogni settimana percorriamo chilometri a piedi lungo le strade dei quartieri più malfamati e pericolosi come Mabella e Brook Street dove molte ragazze si prostituiscono in un posto costruito sopra una fogna. A tutti proponiamo un’alternativa.

Oltre alle giovani che avete coinvolto, ci sono stato altri effetti?

Le autorità della Sierra Leone si sono spaventate della risonanza internazionale di quanto stiamo facendo e quindi hanno emanato leggi più severe; anche la polizia è diventata più severa e attenta.

Siete stati minacciati?
Sì, le minacce di morte sono arrivate a me e agli operatori che lavorano con me. Alla nostra casa si sono presentate persone che fanno parte dei gruppi mafiosi dietro alla prostituzione minorile: ci hanno detto di smettere di infastidire le ragazze. Noi ovviamente andiamo avanti.

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