Buongiorno di M. L. R.

È in corso il triduo pasquale. Le chiese si riempiono e tutto lascia sperare nel ritorno di tanti “figlioli prodighi” o, come scriveva don Primo Mazzolari, che tanti fratelli- Giuda trovino la via verso casa, lasciata con il trascorrere degli anni, e di cui hanno da tempo perso il cammino.

Ma non è facile; la Pasqua sempre è strettamente legata alla Croce, quella croce che adoriamo e senza la quale non possiamo celebrare la risurrezione. 

Ho visitato molte persone dal mio arrivo dalla Missione e se, all’esterno, qualche famiglia sembra solida e costruita sulla roccia, in realtà ho constatato quanti problemi sorgono al suo interno: malattie, incoerenze, angosce per il domani, angustie per i figli, preoccupazioni per i nipoti improvvisamente abbandonati alla loro sorti. Sono pochi quei matrimoni che possono vantare una solidità che li porta a passare per quella croce, senza dubbio varco obbligato verso la resurrezione.

Ascolto l’appello accorato di alcuni parroci rimasti soli, di alcune vaste zone senza più pastore e mi domando come sarà il futuro. Senza voler diventare profeta di sventura, ho l’impressione – a mio modesto parere – che il problema sia come uno stagno dove nulla si muove e dove nessuno ha più il coraggio di gettare quel famoso sasso che scuote le acque. So però che per fare un tale gesto ci vuole molta umiltà, la coscienza che chi conduce la Chiesa è il Signore e che Lui vuole ancora da noi quella goccia d’ acqua che rappresenta una piccola parte, per poi far lasciare a Lui tutto il resto.

In fondo per iniziare la storia della salvezza è bastato un semplice sì, un consenso incondizionato e soprattutto un abbandono pieno a quello che il Signore chiedeva. Maria, la donna del sì, ha dato inizio alla nostra storia della salvezza, ha permesso che il Figlio da Lei nato potesse svolgere fino in fondo l’intero compito affidatogli dal Padre, fino a quei tre estremi giorni che lo hanno condotto come agnello immolato sulla Croce e che noi celebriamo nel triduo pasquale.

Nei giorni che stiamo vivendo questo cammino si fa molto pregnante e visibile nella liturgia e nei gesti. Una lavanda dei piedi dovrebbe servire ad ogni uomo che corre e si dibatte per raggiungere il potere, il capovolgimento dei veri valori. Ed invece di fotografare quei momenti magari come cimeli da tenere nel suo album-foto, dovrebbe chiedersi come e quando quel potere è realmente servizio, indossare quel grembiule e servire, non alla maniera dei camerieri, ma nell’espletamento della sua professione svolgendo bene e con coerenza il compito affidatogli: di medico, avvocato, insegnante, imbianchino, impiegato pubblico…

Il triduo invece trascorre, tra una celebrazione e l’altra, alcune volte come mera tradizione, come obbligo da compiere, come un dovere che ci chiama, e pochissime volte come una vera via crucis che costruiamo nel nostro cuore e che poi traduciamo in gesti concreti e reali che cambiano la nostra vita, forse le pochissime battute che ci restano.

Solo così la Pasqua sarà diversa, non fatta solo di colombe e uova di cioccolata ma di conversione, unica cosa seria che ci porta alla Risurrezione. In fondo – tutti lo sappiamo – conversione significa cambiare rotta e quella rotta è la sola che porta sulla via del Calvario, la sola cosa seria per un cristiano: la sola verità che ci farebbe guardare seriamente dentro di noi e accettare che un uomo ha dato la sua vita per noi ed aspetta un gesto perché abbracciamo con Lui quella croce diventataGli troppo pesante.
Solo così potremo celebrare non solo una Pasqua diversa, ma la vera Pasqua, la sola che conduce alla vittoria.

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