di M. Chiara Biagioni
Lo scopo è far entrare lo sguardo della “ecologia integrale” nel cuore stesso della vita cristiana, dalle diocesi alle comunità religiose e ai movimenti. In ogni aspetto, dal servizio ai migranti e ai più poveri fino alla sanità. Perché “non ci si può mettere in ascolto del grido della natura, se non ci mettiamo in ascolto del grido dei poveri e non possiamo metterci in ascolto del grido dei poveri se non ci prendiamo cura del Creato”.
Viene piuttosto chiesto a tutti, vescovi compresi, di lasciarsi coinvolgere in una “dinamica sinodale” per “riflettere insieme sul futuro della missione nella loro diocesi”.
Un metodo di lavoro nuovo, nato all’indomani della nuova presidenza della Cef, composta da mons. Éric de Moulins-Beaufort e dai due vicepresidenti, mons. Dominique Blanchet e mons. Olivier Leborgne.
Una visione integrale della vita. Un impegno, quello ecologico, che i vescovi hanno già preso alcuni anni fa, esattamente nel 2017 quando, insieme alle Chiese protestanti e ortodosse, hanno lanciato l’etichetta “Eglise verte” per incoraggiare, con un percorso a cinque tappe, la conversione ecologica di parrocchie e comunità.
“Da una parte, abbiamo messo l’ecologia, la questione del clima e dell’ambiente, la protezione della natura. Dall’altra, le questioni sociali, la Dottrina sociale della Chiesa, le povertà. Tutto è rimasto per troppo tempo distante.
Con l’ecologia integrale queste due prospettive si uniscono. Papa Francesco dice che lo sguardo che abbiamo sul povero è lo stesso che abbiamo sull’embrione umano, sulle relazioni sociali, sulla natura. Ci siamo quindi detti che lavorare sulla ecologia integrale ci permette di ampliare il nostro pensiero e, al tempo stesso, unificare le diverse visioni di vita che fino ad oggi sono rimaste separate”.
“Al tempo stesso sentiamo che il Vangelo ha qualcosa da dire”, aggiunge padre Magnin. “In particolare – spiega – constatiamo che oggi ci sono teorie catastrofiche che circolano e che teorizzano il collasso finale del pianeta. Quello che ci preoccupa è questo sguardo totalmente pessimista senza speranza che rischia anche di generare forme di violenza. Quindi il nostro è un atteggiamento di apertura verso quello che ci arriva dalla società ma nel desiderio di partecipare a questo movimento e contribuire con il Vangelo a dare un segno di speranza a questa ricerca comune”.