ROMA – Domenica in Giappone, in due successivi appelli da Nagasaki e da Hiroshima, Francesco ha parlato con grande forza contro l’uso dell’energia nucleare per fini di guerra, qualificando come “immorale” già lo stesso possesso delle armi nucleari. Il Papa ha pure chiesto a tutti i paesi che si torni al “controllo degli armamenti nucleari”, abbandonando l’attuale deriva dagli impegni sottoscritti in passato. Queste sono state le parole di Francesco: “L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche. Saremo giudicati per questo. Sul punto scottante dell’immoralità del “possesso” di quelle armi abbiamo intervistato il nostro conterraneo Luigi Accattoli, vaticanista prima della Repubblica e poi del Corriere della Sera.

Come vedi questo monito del Papa? Non trovi che vi sia qualcosa di eccessivo nel qualificare come “immorale” il possesso dell’atomica? Se gli altri hanno armi nucleari non sarò nella necessità di averle anch’io?
Certo, per il singolo paese vale questa regola, ma è all’insieme dell’umanità che il Papa chiede di porsi la domanda sull’accettabilità di un sistema che ci sta portando tutti sull’orlo dell’abisso. Ci sono una decina di paesi nel mondo che possiedono armi atomiche. Gli Usa per primi e la Russia in risposta hanno annunciato nei mesi scorsi la ripresa degli esperimenti: ora lo chiamano “ammodernamento” delle armi nucleari. E’ dunque finito il trattato della non proliferazione, al quale del resto altri paesi, tra i quali la Cina, non avevano mai aderito. C’è il rischio, tecnologicamente ormai vicinissimo, che gruppi terroristici si dotino di atomiche. O che le acquisiscano paesi che sono in conflitto aperto con altri. E’ in tale quadro che vanno lette le parole del Papa sull’immoralità degli stessi arsenali, ancor prima che vengano usati.
Insisto: perché Francesco definisce “immorale” un qualcosa che mai dagli altri Papi è stato così qualificato? Si è molto discusso nella Chiesa Cattolica lungo l’ultimo ventennio del secolo scorso sulla legittimità morale della deterrenza nucleare, ma senza mai arrivare a condannarla…
Francesco fa valere un principio di radicalità evangelica ispirato al “non uccidere”, che aveva già applicato alla pena di morte, andando anche in quel caso oltre le affermazioni dei predecessori. Il nuovo paragrafo 2267 del Catechismo, promulgato il 2 agosto 2018, qualifica come “inammissibile” quella pena che nella storia i Papi avevano prima usato e poi quantomeno giustificato. “La Chiesa – ha scritto nel nuovo testo – insegna alla luce del Vangelo che la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo”.
Nel caso della pena di morte l’ha detta “inammissibile”, perché invece il possesso delle armi nucleari l’ha definito “immorale”?
Per farsi capire. I due aggettivi sono sinonimi. In un testo dottrinale dice “inammissibile”, in un messaggio al mondo usa la variante che in bocca a un Papa suona più forte.
Giustifichi l’aggettivo “immorale” dicendo che il Papa lo usa per farsi capire: ma il mondo non capirà mai che si ritenga immorale qualcosa che attiene alla legittima difesa…
Direi piuttosto che il mondo quell’immoralità l’ha già capita. Nel 2017 una risoluzione delle Nazioni Unite qualificava le armi nucleari come un “illegittimo strumento di guerra”. Un testo così commentato da Papa Francesco il 10 novembre 2017: “Un sano realismo non cessa di accendere sul nostro mondo disordinato le luci della speranza. Recentemente, attraverso una storica votazione in sede ONU, la maggior parte dei Membri della Comunità Internazionale ha stabilito che le armi nucleari non sono solamente immorali ma devono anche considerarsi un illegittimo strumento di guerra. E’ stato così colmato un vuoto giuridico importante, giacché le armi chimiche, quelle biologiche, le mine antiuomo e le bombe a grappolo sono tutti armamenti espressamente proibiti attraverso Convenzioni internazionali”.
Questa tendenza del Papa ad andare oltre i predecessori non ti pare imprudente? Gli altri avevano fatto studiare la questione della deterrenza ma non l’avevano condannata e ora Francesco li sconfessa: oltre le parole, non c’è qualcosa di eccessivo negli stessi contenuti che vengono predicati?
No. Sui contenuti c’era già un accordo. La novità è nelle parole, che comunque, in materia morale, sono importantissime. Quando ai contenuti, sull’inaccettabilità del possesso delle armi nucleari si può citare l’appello di Giovanni Paolo II agli scienziati nucleari perché facessero obiezione di coscienza alla costruzione delle armi nucleari: quell’appello dava per certo che fosse un grave errore, un qualcosa di inaccettabile, sia la costruzione sia il possesso di tali armi. Era formulato così: “Nel rifiuto di certi campi di ricerca, inevitabilmente destinati, nelle concrete condizioni storiche, a scopi di morte gli scienziati di tutto il mondo dovrebbero trovarsi uniti in una volontà comune di disarmare la scienza e di formare una provvidenziale forza di pace” (12 novembre 1983).
La conclamata tendenza di Francesco a radicalizzare l’insegnamento sociale non rischia di allontanare la Chiesa Cattolica dall’insieme delle Chiese cristiane?
No, anzi l’avvicina a quell’insieme, se guardiamo alle Chiese storiche. Già nel febbraio del 2006 la Nona Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese, riunita a Porto Alegre, Brasile, aveva affermato che “le chiese devono premere sui governi fino a quando non riconoscano l’incontestabile immoralità delle armi nucleari”. Quel documento parlava di immoralità: si direbbe che Francesco abbia preso da lì l’aggettivo “immorale” per il possesso delle armi nucleari che ha usato in Giappone.
Ma nella Chiesa Cattolica non mi pare che questo sia l’atteggiamento dominante…
Dominante forse no, ma ampiamente presente sì. Non dimentichiamo che il Papa questo monito sull’immoralità dell’armamento nucleare l’ha formulato in Giappone dove l’episcopato ha chiesto con forza, dopo il disastro nucleare del 2011, “lo smantellamento delle centrali nucleari”, come ha ricordato Francesco ieri nel discorso alle vittime di quell’incidente.
La radicalizzazione della predicazione sociale non rischia di far apparire settario l’atteggiamento delle Chiese?
La chiamerei “recupero di radicalità evangelica” e non “radicalizzazione”. Francesco proietta nella morale sociale, o nell’etica della collettività, la stessa esigenza alta che la predicazione tradizionale faceva valere per la morale individuale, ovvero per le scelte personali. Tratta la pena di morte e la guerra come prima si trattava l’aborto o l’omicidio volontario. Opera inoltre un secondo cambiamento: non si propone di dare insegnamenti pratici sul che fare, ma di segnalare degli assoluti evangelici. Richiama cioè a un discernimento valoriale, non detta direttive d’azione. E fa questo in molte direzioni.
Potresti fare qualche esempio di altri campi?
Vedo questa stessa ispirazione nell’annuncio di una modifica del Catechismo per il riconoscimento del “peccato ecologico”, che ha fatto dieci giorni addietro parlando all’Associazione dei penalisti. Ma già aveva questo segno l’opzione di tre anni addietro per la non violenza, come scelta che proponeva a tutta la Chiesa. E l’aveva l’obiezione al sistema capitalistico espressa con le parole “Questa economia uccide”. E la chiamata dei cattolici a operare per il “l’eliminazione della povertà”.
Come valuti queste scelte radicalizzanti?
Le trovo provvidenziali, in un’epoca di incertezza morale. Quanto poi al nucleare mi pare davvero un grande dono che nell’attuale incoscienza planetaria vi sia una voce così netta contro un impazzimento collettivo che potremmo riassumere in immagine nell’incredibile scambio di minacce reciproche tra il presidente Trump e il presidente nord-coreano Kim Jong, che sembrava una sfida tra bulli e non un confronto tra capi di Stato.

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