Il presidente della regione Marche Luca Ceriscioli ha incontrato i giornalisti delle testate d’ispirazione cattolica aderenti alla Fisc. Pubblichiamo la prima parte dell’intervista in merito all’emergenza Coronavirus e ai nuovi provvedimenti adottati dal Governo e dalla Regione.

Il Coronavirus sta impedendo l’esercizio di tanti diritti e della libertà: dal diritto alla cura alla libertà di movimento. Per l’emergenza tante persone hanno dovuto sospendere alcune cure come le chemioterapie, gli appuntamenti senza urgenza e priorità sono stati annullati, ad alcuni non è stato possibile la terapia del dolore o le cure palliative. Come pensa che si possa riprendere gli standard di prima, magari a volte criticati, ma ora sicuramente rimpianti dalla maggior parte delle persone?
A breve, su tutto il territorio regionale, gli ospedali potranno tornare a occuparsi dei pazienti “normali”. Ovviamente nulla sarà come prima perché ogni utente che accederà agli ambulatori, sarà considerato un “potenziale positivo” quindi dovranno essere adottati tutti gli accorgimenti e le procedure dei protocolli Covid, con tanto di sanificazione per garantire che un eventuale paziente positivo non contagi tutti quelli che usufruiscono del servizio.
I tempi delle visite si allungheranno inevitabilmente: ad esempio i tempi per una diagnostica ambulatoriale saliranno da venti a trenta minuti, per una diagnostica per immagini si potrà arrivare anche a quarantacinque minuti. Per ogni consulto medico sarà adottata un’attività preliminare e successiva di gestione degli spazi per garantire la sicurezza. Il nostro sistema sanitario regionale ha risposto molto bene all’ondata di contagi da Coronavirus. Abbiamo curato tutti, senza nessuna esclusione e fatto un ottimo lavoro gestendo fino a 170 posti letto di terapia intensiva. Uno sforzo inimmaginabile. Noi abbiamo avuto una curva epidemiologica particolarissima, che cresceva come la Lombardia all’inizio e alla fine diminuiva come quella Veneta. Questo significa che abbiamo avuto la capacità di mantenere una prospettiva efficace nella gestione delle urgenze ma che siamo stati capaci di contenere e bloccare la curva dei contagi e invertire la linea dei dati. Merito ovviamente delle misure di lockdown ma soprattutto del comportamento dei cittadini che hanno capito l’importanza del rispetto delle indicazioni che venivano date dalla comunità scientifica.

Oltre 500 tra medici e infermieri sono rimasti contagiati nelle strutture ospedaliere delle Marche. E sempre nella filiera sanitaria sono avvenuti numerosi altri contagi di pazienti in cura per altre patologie. Alcuni dializzati sono stati addirittura rimandati a casa con tampone positivo finendo per estendere virus (e mortalità) a tante altre persone. Cosa non ha funzionato nel sistema di emergenza della prima fase?
Certo, ogni esperienza ci insegna a fare sempre meglio, ma nelle Marche siamo riusciti a gestire e contenere la curva epidemiologica e non abbiamo avuto livelli come quelli verificatisi in Lombardia. Questo grazie a tutta la struttura sanitaria regionale. Il non avere avuto subito a disposizione uno spazio grande e flessibile da essere facilmente adattabile per l’emergenza è stata una carenza. Noi abbiamo ambienti ospedalieri piccoli e contingentati e questa pandemia ci insegna ad avere per qualche anno una struttura ospedaliera grande. La Germania ha un sistema sanitario con grandi spazi liberi per le emergenze che possono essere attrezzati in un giorno. Servono poi delle regole nazionali che ci indichino come possono essere spese le risorse nel tempo dell’emergenza: ad esempio come si considera l’isolamento del paziente nei Lea? Ci sono questioni essenziali da risolvere a breve come anche la capacità produttiva nazionale per i dispositivi di protezione individuale. Abbiamo avuto l’esperienza di non poter avere la sufficiente fornitura di questi dispositivi e ora è emerso il problema di rilasciare le certificazioni a chi ha la capacità di farle: dobbiamo trovare una soluzione per essere autonomi nella produzione delle quantità necessarie. In Italia è emerso il problema delle Rsa ma nelle Marche queste strutture sanitarie assistenziali non hanno avuto delle criticità in questa emergenza come invece sono emerse nelle case di riposo. Chi gestisce le case di riposo e le residenze protette ha avuto grandi difficoltà e abbiamo assistito a un tentativo maldestro di scaricare le responsabilità nella regione ma dopo la pandemia faremo una revisione sui gestori di queste strutture per le quali la Regione paga 33 euro al giorno a persona per la cura sanitaria.

Come nasce la struttura di Civitanova? E come sarà gestita?
In questa emergenza la Regione si è distinta per la capacità gestionale ma non c’era nessuna struttura ospedaliera nelle Marche che avesse uno spazio adeguato per una risposta efficace in tempi rapidi alla pandemia (non per sei posti letto di terapia intensiva). Quando la necessità è di centinaia di posti letto di terapia intensiva, dobbiamo essere in grado di dare delle risposte rapide secondo le indicazioni. Nel nostro paese servono due anni solo per fare la gara d’appalto per una struttura (ad Amandola con soldi e progetto donati, ancora oggi dobbiamo concludere la procedura per la gara durata due anni con ora un ricorso al Tar). Ecco perché abbiamo scelto la struttura di Civitanova, già disponibile e concessa dal Comune, e nel mese di maggio avremo pronti 84 posti letto di terapia intensiva. Questi pazienti, tutti insieme, necessitano di minore personale rispetto ad averli dislocati in più strutture. L’ospedale di Civitanova sarà gestito dall’Asur, dopo che il privato lo realizza con fondi donati da cittadini e imprenditori. L’ultimo ospedale costruito nelle Marche, quello di Jesi, non ha uno spazio libero per l’emergenza ed è stato realizzato in venti anni. La vera prevenzione è avere quello che serve, sperando di non usarlo ma per averlo a disposizione al momento giusto. La struttura di Civitanova potrebbe servire entro l’anno e, passata la pandemia, si penserà a una nuova costruzione per l’emergenza.

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