di Gianni Borsa

Il Comitato europeo dei diritti sociali verifica il rispetto degli impegni assunti dagli Stati per garantire l’applicazione dei diritti riconosciuti dalla Carta sociale europea tramite due meccanismi complementari: i reclami collettivi, che possono essere presentati da associazioni sindacali e datoriali, nonché da altre organizzazioni non governative (procedura dei reclami collettivi), e i rapporti nazionali periodici sottoposti dai Governi delle parti contraenti (procedura dei rapporti). Ai sensi della Carta sociale, il diritto alla parità di retribuzione deve essere garantito per legge. In particolare, il Ceds ha individuato i seguenti obblighi spettanti agli Stati contraenti: riconoscere nella loro legislazione il diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore; garantire l’accesso a vie di ricorso efficaci per le vittime di discriminazione salariale; assicurare la trasparenza salariale e rendere possibile un confronto delle retribuzioni; mantenere attivi organismi efficaci per la promozione della parità e istituzioni competenti per garantire nella pratica la parità di retribuzione. Il Ceds oggi riconosce che il divario retributivo di genere “non è più unicamente né principalmente il risultato di una vera e propria discriminazione. Deriva essenzialmente dalle differenze nelle cosiddette ‘caratteristiche medie’ delle donne e degli uomini nel mercato del lavoro”.
Tali differenze sono dovute a “numerosi fattori, quali la segregazione orizzontale, quando un sesso si trova concentrato in determinate attività economiche (segregazione settoriale di genere) o in determinate occupazioni (segregazione professionale di genere), come pure la segregazione verticale, in particolare il fatto che sono troppo poche le donne che occupano le posizioni dirigenziali e decisionali meglio retribuite all’interno delle aziende”. Gli Stati dovrebbero pertanto valutare l’impatto delle misure politiche adottate “per affrontare la segregazione di genere nel mercato del lavoro, migliorando la partecipazione delle donne a una gamma più vasta di posti di lavoro e di professioni”. In particolare il Ceds rileva che “la percentuale di donne che siedono nei consigli di amministrazione delle più importanti società quotate in borsa nei Paesi in cui vigono disposizioni legislative vincolanti è passata da una media del 9,8% nel 2010 al 37,5% nel 2018”. Nei Paesi che hanno invece intrapreso interventi per promuovere l’equilibrio di genere, senza tuttavia adottare misure vincolanti, le percentuali sono state del 12,8% nel 2010 e del 25,6% nel 2018, mentre nei Paesi in cui non è stato realizzato nessun intervento particolare la situazione è rimasta praticamente invariata, con una media del 12,8% di donne presenti nei consigli di amministrazione nel 2010, che è passata al 14,3% nel 2018.

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