di M. Chiara Biagioni
Stiamo vivendo una situazione mondiale molto grave che la pandemia ha peggiorato, spargendo un fumo di tristezza e paura”.
Ma come si concretizza il patto di fratellanza che il Papa propone?
È un messaggio solo apparentemente nuovo perché ha radici profondissime che risalgono al nostro vissuto antico, ai testi sacri e ai documenti delle nostre rispettive religioni. Ma è un messaggio dimenticato. Francesco ci chiede con questa Enciclica di svegliarci, di aprire gli occhi, di riandare al messaggio più profondo delle nostre religioni e della nostra spiritualità. Senza la fratellanza non si concretizza il messaggio spirituale e religioso insito nel cristianesimo e nell’Islam.
Senza la fratellanza, le nostre religioni rischiano di essere solo parole vuote, non realizzate, non incarnate nel vissuto concreto.
Perché abbiamo avuto paura. La paura è la radice del male.
Quando si ha paura, ci si rifugia in luoghi chiusi, si alzano i muri. Ci si nasconde dietro i “titoli” e questi “titoli” creano i nazionalismi, le ideologie, i partiti e l’altro diventa un nemico. Papa Francesco ci sta quindi scuotendo: ci chiede di abbattere questi muri, uscire dalla paura, guardare negli occhi l’altro e vedere che l’altro, come noi, sta piangendo e le sue lacrime hanno lo stesso colore delle nostre.
Mi ricorda l’incontro di Francesco di Assisi con il sultano. Anche i momenti storici sono simili. Allora c’erano le crociate. Oggi ci sono altre forme di crociate e jihadismi. Stiamo vivendo una situazione mondiale simile se non peggiore perché le nuove tecnologie hanno dato all’umanità armi molto più potenti e distruttive. Le immagini iconografiche dell’incontro di San Francesco di Assisi e il sultano sono stupefacenti: rappresentano due volti che si guardano negli occhi e si abbracciano. Papa Francesco sta praticamente replicando quell’incontro in una forma nuova.
Forma nuova che è stata espressa nel documento di Abu Dhabi.
Mai un Papa si era recato negli Emirati Arabi, mai un Papa si è messo sullo stesso livello e allo stesso tavolo per dialogare e pensare insieme all’umanità intera. Il Documento di Abu Dhabi è destinato ad illuminare il nostro futuro. Forse è stato ancora poco elaborato e trasmesso, ma è un testo rivoluzionario e al tempo stesso fedele ai fondamenti delle due religioni. Il documento indica come chiave della fratellanza lo spirito del servizio. Se una religione non si traduce in servizio concreto verso il prossimo perde la sua stessa radice. Una sfida al momento storico che stiamo vivendo.
Alcuni in questi giorni hanno osservato che il titolo dell’Enciclica, in rispetto alla parità, avrebbe dovuto includere “Fratelli e sorelle tutti”. Lei cosa ne pensa?
Nella lingua persiana, che è la mia lingua materna, quando si dice “fratelli”, si intende solo il genere maschile per cui in questo caso, va aggiunto la parola “sorelle”. In altre lingue, come quella italiana ma anche araba, quando si usa la parola “fratelli”, il termine può includere anche il genere femminile. Se però si vuole portare avanti questa osservazione, credo che la critica vada fatta anche per parole relative, per esempio, alle professioni di medico, ministro, avvocato, trovando un modo per declinarle al femminile.
Ma non è il momento adesso per fare una critica linguistica di questo tipo ad un documento che propone un patto umanamente e spiritualmente molto elevato.
A proposito di questione femminile, c’è un modo specifico delle donne a vivere la fraternità?
Penso che la donna abbia una capacità particolare e straordinaria nel vivere la misericordia, il perdono e l’accoglienza. Penso che questo Documento si rivolge a tutti, uomini e donne, ma le donne vengono illuminate in modo particolare. Per natura, la donna accoglie dentro di sé il diverso, lo riconosce figlio e lo ama. E soprattutto ha occhi più attenti verso il più piccolo e bisognoso.