di Clan Gezin Marina 1 – Scout Agesci

È giusto giudicare un libro dalla copertina? “Le persone mi danno della sfigata”, “Mi sento giudicato”, “Sono indiano, serve altro?”. Siamo in grado di riconoscere la puzza di fumo e scappare prima che divampi un incendio, ma se incontrassimo qualcuno con la tipica faccia da delinquente, mentre passeggia tranquillamente, scapperemmo? Siamo ancora in grado di pensare individualmente o continueremo a vivere solo di pregiudizi e luoghi comuni? Se lo sono chiesti gli Scout Agesci del Marina 1 (Ancona) che, spinti dai raccapriccianti e innumerevoli episodi di cronaca, hanno deciso di approfondire il tema. Interessanti sono i risvolti emersi da incontri con una psicologa e da diverse testimonianze.

Analizzando i dati di un sondaggio proposto alla comunità locale, risulta che la maggior parte dei partecipanti si sia sentita almeno una volta oggetto di pregiudizi ma, al contempo, artefice degli stessi. Mancanza di educazione e paura della novità sono percepite come le più influenti cause del fenomeno. Professiamo con tanto orgoglio il rispetto per il prossimo, la libertà di parola, di pensiero, ma allo stesso tempo siamo terribilmente capaci di rendere la vita degli altri un inferno per delle convinzioni infondate.

Per quanto si cerchi di far risaltare la diversità, anche quest’ultima viene massificata. Tutto ciò che fuoriesce dagli schemi, tutto ciò che è unico viene esaminato con una serie di pregiudizi fuorvianti. Il pregiudizio è quindi frutto del nostro modo di ragionare, abituato a generalizzare. Esempio di ciò sono gli stereotipi, un metodo di categorizzazione che il cervello applica inconsciamente per evitare di saturarsi con la moltitudine di informazioni che acquisiamo giornalmente. Nel momento in cui, però, le caratteristiche del gruppo prevalgono sull’unicità del singolo, assumendo un’accezione negativa, si è in presenza di un pregiudizio.

Cos’è la normalità, quindi, se non un artifizio creato dalla società stessa? D’altronde, i pilastri portanti del nostro modo di vivere e pensare si sviluppano nell’età infantile, dove ogni cosa viene assorbita e, spesso, non rielaborata secondo una propria visione individuale. Tutto ciò che omologa il pensiero umano è una trappola mortale che trasforma la nostra “aperta, multietnica, interculturale” società in un pozzo di ipocrisia. Abbattere queste stigmatizzazioni non è facile. È necessario mettere in discussione e ridimensionare le proprie idee preconcette in modo tale da avere una visione oggettiva e dinamica di ciò che ci circonda. Uscire, dunque, dalla zona di comfort per conoscere la singolarità della nostra diversità, consapevoli dell’occasione di crescita che ciò comporta.

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