di Ugo Bellesi
Un tempo nelle nostre campagne non era facile per i giovani incontrarsi per fare amicizia, per familiarizzare e infine anche per innamorarsi. Le poche occasioni solo quando le famiglie si riunivano per “scartocciare” il granturco oppure per la trebbiatura. Alla sosta per il pranzo si familiarizzava sempre tra ragazzi e ragazze. Ci poteva poi essere qualche zia che trovava la “scusa” giusta per incontri furtivi.
Quando l’amore era sbocciato, chi conosceva le famiglie dei due fidanzati avvertiva i rispettivi genitori che era tempo di incontrarsi. Così la domenica successiva il padre di lei andava a casa del ragazzo e i due vergari concordavano la parte economica, fissando le nozze. Allora il fidanzato regalava alla fidanzata due orecchini e i due giovani, acquistate le fedi nuziali, erano interrogati dal parroco sulla dottrina cristiana.
La domenica successiva tutti i parenti si ritrovavano a casa della sposa per accompagnare, in corteo, lei e il marito in chiesa per la messa cantata. Al termine il corteo si riformava per accompagnare gli sposi in casa dei genitori dello sposo. La vergara accoglieva la sposa in cima alle scale ed esclamava: “La pace ce porti e la pace ce trovi!” La sposa andava in camera da letto dove era il suo corredo e regalava a ciascun membro della famiglia una camicia. E’ a questo punto che iniziava il secondo vero pranzo nuziale con gli sposi che sedevano con i genitori e i parenti più stretti nella capanna mentre gli altri erano sistemati in lunghe tavolate.
Questo il menù: salame, soppressata, prosciutto; stracciatella in brodo; lesso di gallina e cicoria; vincisgrassi o tagliatelle al sugo di carne con rigaglie; piatti di fritture con cotolette di agnello, fiori di zucca… arrosto misto con insalata; crema o torta, frutta di stagione, caffè e vino a volontà. Terminato il pranzo, c’era il momento delle donazioni in denaro in favore della sposa. Infine a ciascun capofamiglia si consegnava un cesto con tutto quanto era rimasto del pranzo.