di Stefano De Martis
Nelle 337 pagine del Piano nazionale di ripresa e resilienza i numeri sono tanti e sono importanti. Così pure le scadenze, i progetti, gli obiettivi. Ma dentro quell’insieme di programmi c’è molto di più, “c’è anche e soprattutto il destino del Paese, la misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale, la sua credibilità e reputazione come fondatore dell’Unione europea e protagonista del mondo occidentale”. Parola di Mario Draghi. Nel presentare alla Camera un documento di “storica importanza”, il presidente del Consiglio non ha avuto esitazioni nell’adottare un registro alto, prima di immergersi nella descrizione dei contenuti del Piano. “Non è solo una questione di reddito, lavoro, benessere – ha tenuto a sottolineare – ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare. Dico questo perché sia chiaro che, nel realizzare i progetti, ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite. Soprattutto su quelle dei cittadini più deboli e sui nostri figli e nipoti. E forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio”.

Il Piano – ormai noto con l’acronimo Pnrr – prevede investimenti per 222,1 miliardi di euro.

La gran parte di essi (191,5 miliardi) è rappresentata da sovvenzioni e prestiti del programma europeo Next Generation Eu, di cui il Pnrr costituisce di fatto la declinazione italiana. I restanti 30,6 miliardi arriveranno da un Fondo complementare finanziato con risorse nazionali attraverso lo scostamento di bilancio pluriennale recentemente autorizzato dal Parlamento. Se poi si tiene conto anche degli ulteriori 26 miliardi stanziati per opere specifiche entro il 2032 e del reintegro del Fondo europeo sviluppo e coesione – ricordati da Draghi nell’intervento a Montecitorio – il totale delle risorse a disposizione arriva a 248 miliardi.
Il Pnrr – in coerenza con i criteri del piano europeo – si articola in sei “missioni”, vale a dire filoni di intervento tematici: “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura” (49,2 miliardi); “Rivoluzione verde e transizione ecologica” (68,6 miliardi); “Infrastrutture per una mobilità sostenibile” (31,4 miliardi); “Istruzione e ricerca” (31,9 miliardi); “Inclusione e coesione” (22,4 miliardi); “Salute” (18,5 miliardi). Per facilitare l’attuazione degli investimenti, viene inoltre previsto un programma di riforme definito “ambizioso”. Si parla infatti di “riforma della pubblica amministrazione”, di “riforma della giustizia”, di “interventi di semplificazione” normativa, di “riforme a tutela della concorrenza”. Per quanto riguarda l’impatto del Piano, il governo stima che nel 2026 il Prodotto interno lordo sarà superiore del 3,6% rispetto allo scenario di partenza e l’occupazione sarà più alta del 3,2%.

La gestione centrale del Piano sarà affidata al ministero dell’Economia che dovrà monitorare e controllare lo stato di avanzamento di riforme e investimenti, fungendo anche da “unico punto di contatto” con la Commissione europea. Ministeri e amministrazioni locali (gli enti territoriali avranno competenza su risorse per oltre 87 miliardi) avranno una “responsabilità diretta” per la realizzazione dei progetti entro i tempi concordati. Ma la definizione dettagliata della governance, questione politicamente molto delicata, richiederà un apposito decreto da emanare a stretto giro.

Dopo il dibattito alla Camera e, domattina, la replica di Draghi e il voto delle risoluzioni, nel pomeriggio di domani la discussione si sposterà al Senato. Al termine del percorso parlamentare il Piano tornerà in Consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva. Entro venerdì sarà inviato a Bruxelles. Il confronto con i vertici Ue è stato serrato già in fase di elaborazione e quindi l’iter a livello europeo non dovrebbe comportare sorprese in questa prima fase. Ben più impegnativa sarà l’attuazione tempestiva e puntuale del Piano a cui è legata l’effettiva erogazione delle risorse. Negli ultimi sette anni il nostro Paese, complessivamente inteso, è riuscito a spendere solo il 40% dei finanziamenti stanziati attraverso le diverse tipologie di fondi europei. Stavolta non possiamo permetterci passi falsi. Si tratta di un’occasione irripetibile innanzitutto per risollevarci dalle conseguenze del Covid e per ricucire le fratture economico-sociali prodotte dalla pandemia – come ha sottolineato Draghi nel discorso alla Camera – ma anche per sciogliere alcuni nodi strutturali che ci trasciniamo dietro da decenni. “A noi l’onere e l’onore di preparare nel modo migliore l’Italia di domani”, ha detto il premier citando Alcide De Gasperi. E come nella ricostruzione post-bellica sono necessarie quell’unità e quella coesione che il Capo dello Stato ha richiamato ancora una volta in occasione del 25 aprile.

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