di Laura Palmucci

Se qualcuno mi avesse detto, solo un anno e mezzo fa, che l’umanità si sarebbe trovata a vivere un’esperienza di pandemia così diffusa, probabilmente l’avrei preso per pazzo. Questa realtà ci sta mettendo tutti con i piedi a terra, ricordandoci che siamo creature fragili. Ci sta ricordando che niente o quasi dipende da noi e che a noi è chiesto invece di prenderci cura di questo pianeta e, per prima cosa, delle persone che lo abitano. La situazione pandemica sta cambiando la nostra esistenza. Tutti sentiamo fortemente le restrizioni. Le famiglie sono state costrette a modificare le proprie abitudini, anche ripensando a nuove modalità di vivere la casa. Una casa spesso non abbastanza grande per affrontare il “confinamento”, che è diventata contemporaneamente luogo di lavoro, di studio, di svago.

La famiglia ha dovuto rinunciare a vivere relazioni parentali e amicali in presenza. Si è dovuto inventare un modo nuovo di incontrarsi. Il confinamento ha limitato le uscite per prevenire gli assembramenti e i probabili contagi. Ma cosa più triste, la pandemia ha impedito le “entrate”: ha spinto a chiudere le porte di casa, alimentando diffidenza e sfiducia. La casa, che è luogo di accoglienza per antonomasia, rischia di non essere più il luogo in cui la socialità si genera e viene nutrita. In modo particolare ai bambini manca la fisicità! Li abbiamo visti scambiarsi colpi di gomito, «Ma non è la stessa cosa, maestra, io ti voglio abbracciare!». E in quel loro abbraccio c’è tutto l’affetto e la gratitudine di cui sono capaci. Con le mani si sente il calore del corpo dell’altro, la stretta fa riconoscere che si è benvenuti. In parte lo sguardo sta sostituendo abbracci e strette di mano, seppur mediato dalla presenza delle mascherine. Certo, quasi con rassegnazione, potremmo dire «meglio di niente». Ma quanta fatica per i piccoli, abituati a leggere l’espressione dal volto dei compagni, della maestra, del nonno.

Vivendo nella scuola ho ben chiara la capacità di adattamento dei bambini. Eppure molti di loro stanno chiedendo con insistenza quando tutto questo finirà. Ciò che a loro manca, riconoscono, sono soprattutto le relazioni. Sono mancati gli abbracci e le coccole di nonna; i giochi e le feste con gli amici, le sudate al parco e la partita a pallone nel campetto. Allo stesso tempo è cresciuta la paura di costituire un veicolo nella trasmissione del virus, proprio per i nonni. I bambini sono stati costretti a reinventarsi una quotidianità di gioco fatto di distanze e di sanificazione. I ragazzi (ma non solo!) hanno trasformato le loro camere in palestre-aule-pub-muretti. Una vita diversa, vissuta con lo sguardo rivolto all’esterno, restando sempre nelle solite quattro mura, una sorta di grande finestra sul cortile. Con i social sempre più presenti nelle nostre vite. Così, anche come famiglie abbiamo provato ad abitare questo spazio virtuale: con le videochiamate ai nonni, le chiacchierate su Zoom con gli amici, la Dad, lo smart working, fino alle preghiere online. In questo tempo i bambini hanno scoperto una scuola diversa, che pur nella complessità della situazione, è stata presente. Tutto è migliorabile, ma «Almeno, maestra, ti vedo senza mascherina!», come mi ha detto tante volte un piccolo alunno. In effetti almeno ci siamo visti e abbiamo mantenuto un legame! Forse anche qualcosa di più.

Mi colpisce sempre la creatività dei bambini, la loro positività, le storie inverosimili in cui sconfiggono il male, anche il Covid-19! In giardino, l’altro giorno, un bambino correva in modo pericoloso e l’ho invitato a calmarsi. Mi ha detto: «È vero maestra, se corro non riesco a vedere tante cose: quell’insetto che vola, il colore del fiore e gli uccelli che stanno sull’albero». Piccola perla di sapienza che mi è stata donata: forse se anche noi rallentassimo e ci affannassimo di meno, potremmo vedere più “cose”! Grazie piccolo S. per avermi regalato questa perla.

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