Enorme la felicità per la medaglia d’oro di Gianmarco Tamberi. Si avvera il sogno dell’anconetano a Tokyo: campione olimpico nel salto in alto, sul tetto del mondo. “Per noi è un orgoglio – commenta Simone Rocchetti, presidente del Comitato regionale FIDAL Marche – e una grandissima soddisfazione. Finalmente Gimbo ce l’ha fatta. Forse in pochi se lo aspettavano, dopo le ultime prestazioni, ma Tamberi nei momenti importanti riesce a tirare fuori qualcosa in più con il suo carattere, per centrare l’obiettivo. A lui vanno i complimenti di tutto il Comitato regionale. È un momento esaltante, siamo davvero contenti. Al suo rientro, lo aspettiamo per festeggiare insieme. Dopo questo trionfo, a breve è previsto l’inizio dei lavori al Palaindoor di Ancona, dove nascerà una palestra dedicata al salto in alto. Ma in generale il suo successo potrà essere un trampolino di rilancio per tutta l’atletica”.

ATLETICA LEGGENDARIA, DUE ORI OLIMPICI A TOKYO
Una giornata che scuote la storia dello sport italiano, e che rimette, anche nel nostro straordinario Paese, l’atletica al posto che merita. Quello di “regina”, scortata, finalmente, da alfieri di livello mondiale. Le medaglie d’oro di Marcell Jacobs nei 100 metri (9.80, record europeo, migliorato dopo averlo eguagliato in semifinale, 9.84) e Gianmarco Tamberi nell’alto, arrivate nel giro di 15 impensabili minuti di estasi sportiva, diventano il simbolo, perlomeno nel nostro Paese, dell’Olimpiade di Tokyo. Oro nei 100 metri, come mai accaduto nella storia dei Giochi (e mai anche a livello globale nello sprint breve; sul prolungato, il nome di Pietro Mennea lascia ancora senza respiro). Oro nel salto in alto, come mai accaduto prima ai Giochi (ma qui al maschile, perché tra le donne ci riuscì l’immensa Sara Simeoni, a Mosca 1980). Un susseguirsi di emozioni incredibili, con lo stupore che si fonde con la gioia, e segna i ricordi per sempre.

E’ l’epilogo più bello, il più atteso e sognato. L’oro olimpico che si divide in due parti, e va al collo di Gianmarco Tamberi e Mutaz Barshim, gli amici di una vita in pedana, appaiati a 2,37. E l’Italia torna a vincere un oro olimpico, il primo in questa specialità, sancendo in maniera definitiva la rinascita di un movimento straordinario, fatto di migliaia di atleti, tecnici e dirigenti volontari, milioni di appassionati, che sono sempre stati lì. Tamberi oggi li rappresenta tutti, ha il tricolore sul petto, e porta avanti l’orgoglio di un Paese che ama questo sport, ma che aspettava da tanto, troppo tempo, un nuovo Rinascimento. Eccolo Tamberi, che piange, cinque anni dopo l’infortunio di Montecarlo, e l’appuntamento perso di Rio. Piangono in tanti con lui, stasera. Perché l’oro di Gimbo, è l’oro di tutti.

GIANMARCO E L’ORO DA FILM
La gara va raccontata nei dettagli, perché resti impressa nella memoria. L’inizio vede il bielorusso Nedasekau sbagliare il primo tentativo a 2,19, e questa è già una notizia. Con lui, sbaglia anche il giapponese Tobe, anche se entrambi poi sbrigano la questione al secondo tentativo. Tamberi dà una bella impressione, superando l’asticella con notevole ampiezza, dopo lunghi istanti di concentrazione a precedere l’avvio della rincorsa. Si sale a 2,24, e Barshim vola per primo oltre l’asticella, imitato poi da tutti gli avversari (incluso Tamberi, ancora molto reattivo, soprattutto nella fase di valicamento), a parte lo statunitense McEwen, che sbaglia due volte prima di riuscire nell’impresa. A 2,27 passano senza errori in 10 (con Tamberi), a 2,30 (sempre con il marchigiano) la pattuglia si riduce a sei, anche se tra gli inseguitori si cominciano a contare gli errori. Akimenko, Ivanyuk e Harrison ce la fanno alla seconda, Kerr alla terza, salutano il britannico Gale e McEwen. Tre centimetri in più, e si cominciano a perdere i pezzi. Il 2,33 di Mutaz Barshim è regale, Nedasekau ribalta la classifica e vola al primo tentativo, ma la notizia che più interessa è che c’è anche Gimbo. Il suo 2,33 alla prima ha un peso specifico già importante, perché restano solo in tre a non aver commesso errori. Tutti gli altri inseguono. Il coreano Woo, il russo Akimenko, lo statunitense Harrison, ce la fanno alla seconda prova, l’australiano Starc alla terza. Fuori Ivanyuk, Kerr e il canadese Lovett. In sette per il podio. Barshim e Tamberi percorso netto, Nedasekau terzo (per l’errore a 2,19), e via via tutti gli altri. Si passa a 2,35. L’aria si fa sottile, lassù. Ma Barshim non fa una piega. Ancora una volta, va oltre l’asticella al primo tentativo. Ma non è solo. Un altro atleta è ancora senza errori: è Gimbo Tamberi, stellare a 2,35. L’asticella si muove, ma lui atterra senza che venga giù dai ritti. Si avvolge letteralmente intorno alla barra, e poi la abbandona con tempi perfetti. Grandissimo. Questa volta, memore di quanto accaduto a Torun, esulta ma non si lascia andare. C’è ancora da fare, perché riescono anche Woo (alla prima, ed è terzo), e Starc (anche lui alla prima, quarto posto). Akimenko lascia un tentativo a 2,37, Nedasekau due (sinistro segnale). A 2,37 Barshim va ancora a segno al primo colpo. E chi altri ce la fa? Proprio il bielorusso, uno che il poker lo gioca (bene) anche in pedana. Ma Gimbo non molla, seduce ancora una volta l’asticella, in un gioco che è sport ma anche arte, e supera i 2,37 alla prima. Rivolto alla camera grida: “E’ la mia Olimpiade, la mia!”, ad esaltare il pubblico davanti allo schermo. Ricapitolando: lo score vede tre atleti a 2,37, Barshim e Tamberi, appaiati al comando, Nedasekau (terzo), e tre atleti che hanno ancora due tentativi da spendere (dopo un errore sulla misura): Harrison, Woo e Starc. Si passa ai 2,39 del record italiano, quelli della serata maledetta di Gimbo a Montecarlo 2016, dove si infortunò – prima di Rio – attaccando i 2,41. Ma non si salta più. Sbagliano tutti. E alla fine i due amici Barshim e Tamberi, primi a pari merito, scelgono di fermarsi. Saranno entrambi sul gradino più alto del podio di Olimpia.

TAMBERI: “HO SENTITO UN’ESPLOSIONE NEL CUORE”
Esistono notti che non potrai mai dimenticare. Notti da favola. Attimi che danno un senso a una carriera. Che asciugano le lacrime. Che ti spediscono nella leggenda. Oro, oro, oro, Gianmarco Tamberi è campione olimpico nella serata più entusiasmante dell’atletica azzurra. “È pazzesco, ho sentito il cuore che mi esplodeva, un’emozione così forte non l’avevo mai provata – urla, grida, abbraccia chiunque gli capiti vicino – fino all’altro ieri non sapevo nemmeno se ne fosse valsa la pena. Se fosse stato giusto tutto quello che ho fatto, tutte le lacrime versate. Vincere un oro olimpico, dopo quell’infortunio tremendo a pochi giorni dalle Olimpiadi di Rio, vale più di qualsiasi altra cosa”.
Se lo sentiva. Lo voleva. Lo aspettava come si attende qualcosa di prezioso, di raro. “Non vedevo l’ora di fare questa finale, sapevo che qualcosa di magico sarebbe successo. È stato il punto fisso il giorno stesso che ho iniziato la riabilitazione. È stato il mio mantra. Ogni difficoltà, ogni momento in cui le cose non funzionavano mi dicevo… ‘Gimbo, dovrà funzionare quel giorno, solo quel giorno, il resto non importa’. Sapevo che c’era la possibilità di riuscirci. Così è stato”.
Un oro condiviso con un altro fenomeno. Un campione vero, come Gimbo. Un amico leale e presente, che non è mai mancato nei momenti di sconforto. Anche per Barshim un percorso senza errori a 2,37, poi tre tentativi senza successo a 2,39. A quel punto, in un altro mondo sarebbe stato spareggio. Non nel mondo di Gimbo e Mutaz: “Per me è un grande amico, non ho mai nascosto che sia il più forte saltatore di tutti i tempi, ed è l’unico che insieme a me è passato attraverso un infortunio tremendo. Vederlo saltare e vincere l’oro olimpico insieme a me è la cosa più bella che potesse capitare. Chissà quante volte ci siamo detti… ‘t’immagini cosa sarebbe salire sul podio olimpico insieme?’. È successo. Non c’è stato bisogno di parlarci, c’è bastato guardarci e darci un abbraccio. Nessuno dei due voleva togliere all’altro la gioia più immensa della propria vita. Perché entrambi siamo passati in un vortice che ti risucchia, infortuni tremendi. Ho passato anni terribili e non ho mai voluto accontentarmi di un piccolo traguardo. Ho sempre pensato all’oro olimpico. Mai, in questi anni, mi accontentavo di ciò che avevo raggiunto. In quello sguardo è esplosa la nostra emozione infinita”.

Gimbo, infinitamente Gimbo, nell’Olimpo a 29 anni. “Non vedevo l’ora di provarci – prosegue Tamberi, neo entrato in Fiamme Oro, un fiume in piena prima di correre ad abbracciare papà Marco, artefice, al suo pari, di questo trionfo senza precedenti – Era soltanto il momento di tirar fuori Gimbo. Non Halfshave, non mezza barba, non i capelli bianchi. Niente di tutto questo. Semplicemente Gimbo. Semplicemente me stesso. Insieme a tutte le persone che mi hanno sostenuto, la mia ragazza, i miei amici, il mio team sanitario, tutta l’Italia. Ho passato notti insonni. Oggi mi rendo conto che ne è valsa la pena, un sogno che è diventato realtà”.
Dentro questa medaglia, c’è fame di vittoria, orgoglio, riscatto. “In questi cinque anni ho deciso di mettere lo sport davanti alla mia vita. E anche Chiara, la mia ragazza, ha deciso di mettere lo sport davanti alla sua vita. Le difficoltà e le lacrime sono state veramente troppe. Prima della gara, Chiara mi ha scritto in un messaggio: era tesissima, aveva paura, sperava sarebbe andata come sognavo. Io le ho risposto ‘tu goditi la gara, al resto ci penso io’. Sapevo che c’era una fiamma, una magia che sarebbe venuta fuori. E si è vista”.
Qualcuno, tra i tanti giornalisti italiani in mixed zone per cogliere ogni istante di questa notte sensazionale, guarda già avanti: “Parigi 2024 per confermarmi? Un passo alla volta. È la prima volta, nella mia vita, che voglio godermi qualcosa. I Mondiali di Portland del 2016 erano stati un passaggio: dovevo vincere quei Mondiali per sentirmi all’altezza di conquistare l’oro alle Olimpiadi a Rio. Ma non ho mai goduto davvero di una mia vittoria. Adesso voglio viverla fino in fondo”.
Una notte così, l’atletica italiana non l’aveva mai vissuta. E probabilmente tutto lo sport azzurro, esploso di felicità in un primo-agosto-duemilaventuno immortale, davanti alla tv oppure in spiaggia. Due ori in un quarto d’ora o poco più: “Non ero nella pelle, non capivo cosa stesse succedendo, avevo vinto e stava per correre Jacobs. Piangevo, ridevo, ero in estasi pura. Quando si sono spente le luci per la presentazione dei 100 metri ho lanciato un urlo incredibile. Credo l’abbia sentito anche Marcell. È una giornata che l’Italia deve ricordare per sempre, soprattutto adesso che stiamo attraversando difficoltà enormi. Da questa serata dobbiamo trarre qualcosa di positivo: non bisogna mai demordere. Se ci credi, le cose si avverano”.
Tra i primi abbracci, quello con il presidente FIDAL Stefano Mei e con il presidente del CONI Giovanni Malagò. Da Palazzo Chigi arriva la chiamata del presidente del Consiglio Mario Draghi: “Mi ha fatto i complimenti e ha detto a me e a Marcell di andarlo a trovare appena torniamo in Italia. Abbiamo fatto la storia. Due ori in pochi minuti. Pazzesco. Pazzesco. Spero – anzi sono convinto – sia di stimolo per i prossimi italiani in pedana. Saranno gasatissimi. E io farò il tifo per loro”.
Nel mare di emozioni, c’è spazio anche per qualche – pur rapida – valutazione tecnica: “Il mio salto più bello è stato il 2,35. Saltare tutto alla prima prova fino a 2,37 è qualcosa di unico. Ho dimostrato in questi anni che nelle gare importanti posso tirare fuori qualcosa di più. Ero sul pezzo. La gara era la mia. L’Olimpiade era la mia. Volevo viverla ogni secondo, dal punto di vista mentale. E poco importa se da quello tecnico c’erano comunque delle imperfezioni. C’è margine. Ma non mi interessa adesso. Sono il campione olimpico. È tutto quello che volevo”.

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