di Agnese Compagnucci

Ero appena scesa dalla macchina. Faceva molto caldo. L’estate era al suo colmo. Le cicale e i grilli gareggiavano con i loro versi, striduli e lamentosi delle prime, allegri e spensierati dei secondi. Mi ricordava tanto la campagna dove ero nata. Stavo terminando di aggiustare il sedile e tentavo con fatica di fissare il pannello al parabrezza per proteggere il cruscotto dal sole rovente. Ero andata a ritirare un pacco il cui contenuto avevo già scaricato a casa. Mi era rimasto un grande scatolone, robusto e pulito. Pensavo di deporlo in un luogo dove si raccoglie la carta. L’ho tirato fuori e appoggiato sull’asfalto. Da una strada in discesa stava arrivando una donna; aveva in mano dei prodotti di pulizia. Mentre controllavo che tutto fosse a posto e che non mi fossi dimenticata di niente, la donna si è soffermata a guardarmi. Ho creduto che volesse avere delle informazioni. Invece il suo sguardo si era posato sulla scatola di cui volevo disfarmi.

Con un accento straniero mi ha chiesto se avessi bisogno di quella scatola. L’ho guardata sorpresa… a che cosa mi sarebbe servita? Ha cominciato a spiegarmi che era una scatola solida e se potevo dargliela. Ha farfugliato qualcosa, come spedire dei prodotti. Subito gliel’ho consegnata, contenta di potermene sbarazzare prima del previsto e così camminare con le mani libere. Mi ha ringraziato più di una volta, ed io a mia volta l’ho ringraziata. L’ho vista allontanarsi e perdersi lungo la via che mi si snodava davanti.

Mi sono domandata a che cosa potesse servire una scatola, bella solida, ma pur sempre e solo una scatola vuota. Sono andata col pensiero ai tanti poveri che ho conosciuto. Ho ricordato le loro case dove le scatole di cartone abbondavano e servivano da armadi, da scaffali, da tavoli e a volte anche da culle per i bambini appena nati. Non mi è costato molto immaginare che quella donna avrebbe usato quella scatola per riporre ordinatamente i suoi vestiti o quelli dei suoi figli, in mancanza di un armadio o di un mobile dignitoso.

I poveri, quelli veri, non vestono di stracci, non si riconoscono dalle apparenze, ma hanno la fantasia per crearsi un ambiente confortevole, non si lamentano ma chiedono gentilmente un oggetto che nessuno usa. In queste circostanze non basta fermarsi alle apparenze. Dietro i loro vestiti puliti, a volte anche abbinati con una certa nota di eleganza, bisogna saper guardare, immaginare e percepire con il cuore quello che non si vede quasi mai con l’intelligenza e il ragionamento. Non sempre ne siamo capaci. Al contrario stiamo spesso a lamentarci che tutto va male e mai guardiamo al di là del nostro piccolo universo.

Se apprendessimo ad andare oltre, i nostri problemi diventerebbero minimi, banali e scopriremmo quanto le nostre case siano fin troppo piene di oggetti inutili.

I poveri li avrete sempre con voi  ̶ ci ricorda Gesù nel Vangelo̶  ̶ per dirci che il primo povero è Lui, il più povero tra i poveri perché li rappresenta tutti… Il volto di Dio che Egli rivela, infatti, è quello di un Padre per i poveri e vicino ai poveri. Tutta l’opera di Gesù afferma che la povertà non è frutto di fatalità, ma segno concreto della sua presenza in mezzo a noi. Non lo troviamo quando e dove vogliamo, ma lo riconosciamo nella vita dei poveri, nella loro sofferenza e indigenza, nelle condizioni a volte disumane in cui sono costretti a vivere. Non mi stanco di ripetere che i poveri sono veri evangelizzatori perché sono stati i primi ad essere evangelizzati e chiamati a condividere la beatitudine del Signore e il suo Regno [1].

[1] Messaggio del Santo Padre Francesco, V Giornata Mondiale dei poveri, 14 novembre 2021.

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