di Ugo Bellesi

Ha avuto inizio la stagione autunnale che il pessimista giudica «la più brutta dell’anno per la pioggia, la nebbia e le giornate uggiose», mentre l’ottimista la considera «la migliore dell’anno perché porta frutti prelibati». La persona razionale invece considera le giornate uggiose come un piccolo pegno in cambio dei bellissimi colori dell’autunno che spaziano dal rosso all’ocra, dal giallo al verde smeraldo. Anche l’appassionato del buon cibo ci dirà che l’autunno è la stagione migliore perché ci porta castagne, vino novello, funghi, cavolfiori, melograni, cavoli, carciofi, cachi, noci, mele, arance, mirtilli e tartufi.

E soffermiamoci un attimo sui tartufi. Il bianco (ossia il tuber magnatum pico) lo troviamo da ottobre a dicembre. Il nero da metà novembre a metà marzo. Il prezzo dipende da quanta sia la produzione e questa è condizionata dall’andamento climatico. Le Marche vantano una ricca produzione di tartufo bianco, avendo Acqualagna come “capitale” della regione, ma possiede anche il tartufo nero in quanto l’Appennino ne dispone una buona quantità con punte di eccellenza nell’entroterra fermano, ma anche a ridosso dei Sibillini nel Maceratese e in alcune località pesaresi. Purtroppo non è possibile tracciare i confini delle località in cui si produce tartufo, tanto è vero che il bianco è stato trovato anche sul Conero.

Anche nell’antichità i tartufi erano molto apprezzati, non solo perché esaltavano le pietanze, ma soprattutto perché ritenuti afrodisiaci. Il medico e botanico Costanzo Felici da Piobbico nel 1570 parla ampiamente dei tartufi (ma anche di funghi). Più vicino a noi nel tempo Antonio Nebbia ne “Il cuoco maceratese” del 1779 inserisce il tartufo nella prima versione dei suoi “vincisgrassi”. Un grande estimatore (oltre che consumatore) dei tartufi fu Gioacchino Rossini (1792-1868) che li inseriva nei suoi piatti preferiti. Fu durante la Belle époque (tra il 1871 e il 1914) che il tartufo ebbe la sua splendida occasione per essere esaltato in tutte le corti europee.

Perché parliamo di “corti europee”? Perché il costo del tartufo impediva alle classi medie e subalterne di diventarne consumatori. Ma anche i trifulau (cercatori di tartufi) preferivano venderli anziché consumarli in casa, riservando per la famiglia quelli meno pregiati. Però può accadere che alcuni cercatori, anziché farne mercato nel proprio paese, preferiscono venderli in nero ai commercianti umbri. La posta in gioco è così alta che cercatori di altre regioni, alla vigilia della stagione dei tartufi, piazzano i loro camper nelle zone tartufigene. Purtroppo tra i cani da ricerca essi portano anche cani feroci che vengono aizzati contro i nostri “cavatori” per allontanarli e costringerli ad andarsene.

Altro discorso quello sui funghi che i nostri contadini conoscevano, ma avevano difficoltà a distinguere quelli velenosi. Pertanto non si sono fidati mai molto nel farne uso. Infatti nelle ricette contadine raramente si trovano funghi che invece si riscontrano nei ricettari di famiglie borghesi. Queste infatti potevano rivolgersi al farmacista più vicino e chiedere conferma sulla loro commestibilità.

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