Maria Bergamas

28 ottobre 1921, la Basilica di Aquileia a Udine è gremita soprattutto di donne vestite a lutto. Gli occhi dei presenti sono rivolti alle undici bare ricoperte con la bandiera italiana, sopra a ognuna un elmetto. Sono al centro della navata, a dividerle l’altare. In quel silenzio surreale appare una donna sorretta da quattro soldati decorati che poi la lasciano sola. Maria Bergamas si inginocchia in preghiera davanti all’altare. Con movimenti lenti e quasi surreali si alza e avanza nel suo lungo vestito nero, con i capelli bianchi coperti da un lungo velo di pizzo e stretto al petto un mazzo di fiori bianchi. Il silenzio è interrotto dai singhiozzi. In quelle bare ci sono i resti dei soldati morti in battaglia e rimasti senza nome.

Maria si sente smarrita e porta una mano stretta verso il cuore. E mentre cammina, davanti agli occhi quelle bare di sconosciuti figli. Si chiede perché è stata scelta lei. C’erano altre madri come Anna Visentini Feruglio, madre di due figli dispersi in guerra, uno dei quali decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare. C’era la mamma di Livorno che si recò a piedi da Livorno a Udine alla ricerca del figlio disperso. C’era la mamma di Lavarone che, saputo dov’era tumulato il figlio, si recò in quel cimitero scavando con le mani la terra che ne ricopriva i resti e trovate le ossa, dopo averle legate con un nastro tricolore, se le pose in grembo e le portò in paese seppellendole vicino a quelle del marito. C’era quella mamma che ebbe la forza di assistere ad oltre 150 esumazioni pur di trovare i resti del figlio.

Maria pensò di essere stata lei la prescelta forse perché il suo Antonio disertò l’esercito austroungarico per vestire la divisa dell’esercito italiano. Lei era la madre di un disperso irredento. Mentre guardava quelle bare si domandava come lei e le tante mamme presenti potevano sopravvivere alla morte di un figlio. A quel dolore che lacera il cuore, a quella ferita profonda. Pensava a quel figlio amato, il dolore che lui poteva aver provato, il suo sangue a bagnare la terra. E ora forse, è dentro una di quelle bare? Avvolta nei suoi pensieri si chiedeva quali i nomi di quei giovani, da quale paese o città provenivano… Ricacciava le lacrime da quegli occhi che avevano pianto tanto e pensava al dolore che la guerra aveva inferto. L’emozione troppo forte, il dolore lacerante. Come avrebbe voluto per un’ultima volta accarezzare il volto del figlio amato carne della sua carne. Dentro a quelle bare solo resti sconosciuti di una guerra feroce voluta dai potenti e fatta vivere ai giovani.

Pensieri semplici i suoi, pensieri di una popolana triestina. Maria passa davanti a ogni bara, e ognuna le racconta una storia. Sono giovani uomini, strappati alle loro famiglie, ai loro amori, ai loro lavori, finiti a morire in una guerra durissima e feroce: contadini e cittadini, borghesi e proletari, braccianti e maestri, fornai, minatori, falegnami, muratori. Maria era chiamata ad una cerimonia straziante. Undici martiri “senza nome” e lei, madre silenziosa aveva il compito di indicare un figlio, di affidarlo ad una maternità condivisa, universale, ad un’intera nazione. Come poter scegliere? Come poter decidere tra undici figli uguali nella sventura? Maria Bergamas incede stancamente e straziata, volge lo sguardo alle altre mamme, con gli occhi sbarrati, fissi verso i feretri, in uno sguardo intenso, tremante d’intima fatica. Undici bare senza nome che si fanno spazio vivente di un popolo disseminato, che ha portato in trincea fardelli e storie così diversi tra loro. Anche il Duca d’Aosta e il ministro Gasparotto, presenti alla cerimonia, hanno gli occhi umidi di pianto quando lei passa tra quelle bare allineate. Poi, solleva gli occhi verso l’alto come a chiedere a Dio d’aiutarla in quella scelta dolorosa mentre pensa “la mia è una ferita aperta e nessuno sarà in grado di lenirla. Il mio è un dolore atroce, lacerante, un vuoto incolmabile, la resa dinanzi a una vita cattiva, che ha voluto separarmi da te figlio mio. Non avrò pace fino a quando non potrò riabbracciarti e solo allora il mio cuore potrà tornare a sorridere”. Dopo essere passata davanti alle prime, non riuscì a proseguire e si accasciò e il suo velo cadde davanti alla decima bara urlando il nome del figlio.

Quel 28 ottobre la maternità sembrava vivere il suo momento più alto e misterioso. Eppure vi era qualcosa di innaturale nel rito straziante che Maria stava compiendo: una madre era chiamata a scegliere il figlio di tutte le madri. Quale mistero nasconde quella liturgia, così laica e insieme così densamente religiosa? Un sentimento di commozione collettiva pervade l’intera Basilica di Aquileia tra urla strazianti e pianto a dirotto espandendosi anche all’esterno dove le campane suonano a tocchi gravi e profondi mentre alcune batterie d’artiglieria, posizionate nelle campagne vicine, esplodono colpi a salve. Un duetto strano come un canto di morte e di gloria. Intanto vola nell’aria la “La canzone del Piave” eseguita per la prima volta dalla banda della Brigata Sassari. Canzone composta nell’estate del 1918 quando le sorti della guerra apparivano ormai definitivamente volgere a favore dell’esercito italiano.

Molti anni più tardi Anna, la figlia di Maria, raccontò che la madre era decisa a scegliere l’ottava o la nona bara, poiché quelli erano i numeri che ricordavano la nascita e la morte di Antonio, ma giunta dinanzi alle bare provò un senso di vergogna, e poiché nulla dovesse ricordare suo figlio, scelse la decima affinché il simbolo che sarebbe andato a Roma fosse davvero un soldato ignoto. Nel 1953, poco prima di morire, Maria Bergamas espresse un desiderio: essere sepolta con i dieci suoi figli senza nome e senza l’onore dell’Altare della Patria. Essi già riposavano nel piccolo cimitero militare di Aquileia. Fu esaudita. Lei madre, con intorno quei 10 figli che tanto aveva amati pur non conoscendo i loro nomi. Oggi riposano insieme in una tomba che li accoglie sotto un piccolo altare che è un inno alla Patria ma soprattutto è canto della maternità e della vita.

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