È sera. Uno scroscio si abbatte sul parabrezza. Sono chiuso in macchina, sotto il cono di luce di un lampione. Non ho un ombrello. In attesa che la pioggia cali di intensità, seguo dallo schermo dello smartphone una riunione on-line. Lo chiamano lavoro agile: un po’ in ufficio, un po’ in casa, dove capita.
Maurizio Ferraris, filosofo, autore del saggio “Documanità”, sta concludendo il suo intervento al convegno dell’Associazione Italiana Formatori. La rivoluzione tecnologica – afferma – ci ha portato dentro un nuovo ecosistema. In attesa di comprendere come ci muoveremo nel Metaverso che Zuckerberg ha presentato anche come nuovo ambiente di lavoro, è possibile chiedersi fin da ora quali saranno le caratteristiche richieste ai lavoratori nel prossimo futuro: una volta delegate alle macchine le mansioni ripetitive e meccaniche, non saranno più necessarie forza fisica, disciplina, capacità di sopportare la noia. Rivestiranno invece sempre più importanza la capacità di stabilire relazioni, trasferire informazioni, prendersi cura degli altri. Lavoratori colti, educati, riflessivi, profondamente umani, che alimenteranno con i loro comportamenti, raccolti da elaboratori guidati da algoritmi, forme di intelligenza artificiale.
Utopia? Distopia? Comunque la si pensi una rivoluzione profonda, nella quale siamo già immersi. Non a caso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha previsto che almeno tre milioni di lavoratori (con precedenza per donne, disoccupati, persone con disabilità e giovani) dovranno essere interessati entro il 2025 a percorsi di formazione e riqualificazione professionale, per fare fronte alle sfide legate alle transizioni tecnologiche e ambientali.
Ma c’è di più: durante il vertice sociale promosso dalla Commissione Europea, svoltosi a Porto lo scorso mese di maggio, i partecipanti si sono impegnati a fare in modo che entro il 2030 almeno il 60% della popolazione adulta europea partecipi ogni anno ad attività di formazione. Una sorta di grande campagna di vaccinazione educativa, così l’ha definita Ferruccio de Bortoli in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera: un segnale di speranza, che dovrebbe porre il tema della formazione permanente in testa ai diritti di cittadinanza attiva.
Ecco il punto: dovremmo tutti sentire l’esigenza di leggere, approfondire, continuare a formarci, come se fosse un dovere civico, soprattutto oggi. Dopo un periodo di contrazione tragica dell’esistenza, determinata dalla crisi pandemica, ci troviamo a vivere in quella che il filosofo Roberto Esposito nel saggio “Istituzione”, ha definito una “fase istituente”. Indietro non è più possibile tornare. Dobbiamo inaugurare un nuovo ciclo di vita, del tutto inedito, che richiede la mobilitazione delle forze migliori: istituzioni, movimenti, cittadini. Dobbiamo riprendere a progettare, a confrontarci. In una parola a fare politica. In questi ultimi anni abbiamo compreso che i cambiamenti, più sono repentini e imprevedibili, più rischiano di determinare reazioni irrazionali e destabilizzanti, e di alimentare circuiti di rancore cieco. Lo abbiamo visto con il fenomeno delle migrazioni, lo vediamo ora con le vaccinazioni e il Green Pass. Acquazzoni che ci investono con violenza, e ci trovano sempre senza ombrello. Però non dobbiamo disperare. È possibile che la pioggia termini all’improvviso, e nel cielo velato spunti una falce di luna leggera.