Il cuore del messaggio cristiano sul Natale, Dio che si è incarnato in Gesù, determina per noi un particolare rapporto con il tempo. Credere che l’Eterno è entrato nel tempo e nello spazio degli uomini impedisce di pensare il tempo solo come lo scorrere meccanico di secondi tutti uguali e tutti misurabili.

Un grande saggio biblico come Qoelet confessa che non è indolore accettare una fede in cui Dio non sia solo il creatore lontano di tutte le cose, ma anche l’attore nella storia umana accanto a noi. Questa fede infatti dà valore al tempo che viviamo, rende significativo ogni istante e ci responsabilizza. Se nel tempo si dispiega l’azione di Dio e dell’uomo allora «Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato» (Qo 3,1-2).

Da cristiani perciò dobbiamo abitare il tempo che ci è dato in modo vigile e responsabile. Dobbiamo riconoscere “i segni dei tempi” da intendere secondo la saggia lezione Conciliare: «Il popolo di Dio, mosso dalla fede… cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio» (Gaudium et Spes, 11). Non ci sarà dato di vivere un altro Natale 2021, per questo dobbiamo vivere in pienezza e da credenti questo Natale che sta giungendo.

Il perdurare della pandemia richiama anche il nostro mondo occidentale al tema della fragilità, della vita che ogni giorno è un dono. Ci ricorda il bisogno inderogabile dell’aiuto degli altri, per poter entrare nella vita e per continuare a vivere. A ben vedere questi temi di meditazione sono profondamente natalizi. Quale annuncio dalla strutturale fragilità umana è più convincente di un Dio che per farsi veramente uomo deve diventare bambino: in tutto dipendente da un grembo che lo accoglie, un seno che lo nutre, una mangiatoia che lo sostiene e poveri panni che lo proteggono dal freddo della notte palestinese?  Dio che si fa uomo rivela all’uomo che per vivere abbiamo bisogno degli altri, come gli altri hanno bisogno di noi. La fraternità umana, l’essere ciascuno «custode del suo fratello» (Gn 4) come insegna la Bibbia, l’essere «tutti noi sulla stessa barca» come insegna Papa Francesco, non possono essere definiti semplici opinioni o visioni di parte.

La civiltà occidentale si è costruita sulla coscienza di questa inderogabile necessità della fraternità, ma si è poi sviluppata soprattutto nell’ultimo secolo sui binari di un crescente individualismo che cantava: l’indipendenza dell’Io dal Noi come una grande conquista di libertà, come base per la rivendicazione infinita dei diritti dell’individuo, potendo mettere tra parentesi i doveri verso gli altri. Le varie e periodiche crisi di questo modello culturale egoistico ci ammoniscono, e ora la società dell’Io ha sbattuto duramente il muso contro il muro di gomma di questa pandemia che si ritira e ritorna, come l’onda del mare e come l’onda erode le certezze “di sabbia” del mondo tecnocratico, egoistico, materialista.

C’è una paura sorda che oggi scorre nelle vene della gente, perché la canzoncina «andrà tutto bene», intesa da tanti: «andrà tutto bene per te… degli altri non ti curare», non suona più. Le cose stanno andando sì meglio dell’anno scorso, tuttavia la zona gialla ci ricorda che la pandemia è ancora di là dall’essere sconfitta, mentre si conferma sempre più che: «se ne esce solo se ne usciamo insieme» (papa Francesco, 7 ottobre 2020). E non solo noi italiani o noi europei, ma un Noi ampio come l’umanità. Nel mondo di oggi è infatti scomparsa una parola: “antipodi”, l’altra parte del mondo. Per millenni l’umanità ha potuto disinteressarsi di ciò che accadeva dall’altra parte del mondo. Oggi una pandemia cinese, poi una variante australiana o sudafricana bussa alla tua porta a pochi giorni dalla sua genesi e cambia la vita di tutti.

La sfida di questo Natale 2021 è recuperare la coscienza che solo una società fraterna a dimensione universale è la base su cui costruire una cultura veramente umana. Questo è il messaggio del Natale, di Dio che si è fatto nostro fratello nell’umanità, vergognarsene o peggio considerarlo pericoloso o offensivo per qualcuno mi sembra un esempio lampante di particolare insipienza.

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