Lavoro, quale futuro? Ovvero: la grande incertezza

Un altro giorno di lavoro se ne è andato, nascosto tra le rughe di un volto affaticato, da pendolare a fine giornata. Nonostante i buoni propositi sei arrivato tardi. È l’ora di punta per il supermercato. Fai fatica a trovare un posto dove parcheggiare. Nella parete adiacente alla scala mobile sono affissi i soliti annunci: «Cercasi lavorante a domicilio con esperienza di cucito a mano». «Cercasi addetta mensa che sappia cucinare con semplicità e ordine: orario part-time con possibilità di straordinario nei giorni feriali».

Saranno lavori come questi, atipici e precari, a caratterizzare l’anno appena iniziato? O saranno invece posti di lavoro legati a nuovi agglomerati commerciali, o alla grande distribuzione online che ha rivolto la sua attenzione dalle nostre parti? Si parla da tempo di un mega centro commerciale da realizzare alle porte di Macerata: dovrebbe portare alla creazione di cinquecento posti di lavoro. O del centro logistico Amazon che dovrebbe sorgere a Jesi: sessantamila metri quadri, novecento posti di lavoro, e un bacino di utenza che dovrebbe coprire tre regioni del Centro Italia.

Sia come sia, in una società caotica che non offre punti di riferimento stabili – scrive Paolo Iacci, manager e psicologo del lavoro, in libro scritto insieme al filosofo Umberto Galimberti, “Dialogo sul lavoro e la felicità” – il lavoro resta uno dei pochi punti di tenuta di un legame sociale che si è sfaldato nel giro di poche generazioni. Già. Ma chi il lavoro non riesce a trovarlo, o trova solo occupazioni a singhiozzo, è condannato a naufragare nel mare dell’inadeguatezza e del risentimento?

Un recente dossier pubblicato dal Sole 24 Ore “Il tempo del virus – 10 scenari per il 2022” prova ad anticipare cosa ci attende. I fattori che incideranno maggiormente sul mondo del lavoro saranno l’innovazione tecnologica, l’adozione di nuovi modelli organizzativi, la sfida sanitaria legata alla pandemia, il cambiamento climatico, la scarsità di risorse disponibili. Aumenterà il divario tra professioni in crisi – quelle a bassa specializzazione, rimpiazzate da forme sempre più sofisticate di automazione – e professioni in crescita, caratterizzate da un inedito mix di competenze tecniche ed umanistiche: esperti di Internet delle cose applicato in agricoltura, ad esempio, esperti in organizzazione del lavoro, e naturalmente tutte le professioni legate alla salute e alla cura delle persone.

In questo scenario c’è anche chi il lavoro non lo cerca più, o decide addirittura di abbandonarlo, in nome di una riappropriazione del proprio tempo che il lockdown dello scorso anno sembra avere sollecitato: si tratta del fenomeno della great resignation: in Italia nel 2021 i casi di dimissioni volontarie dal lavoro sono stati più di cinquecentomila, numero notevolmente superiore rispetto agli anni precedenti.Dove ci porterà, dunque, questo tempo sfilacciato, in attesa di guarigione?

È necessario passare – conclude Umberto Galimberti – da un lavoro finalizzato alla produzione e allo scambio di beni, a un lavoro finalizzato alla produzione di servizi di cura e relazione. Un lavoro che restituisca valore al tempo, e ci consenta nuovamente di respirare. La cultura e un lavoro non alienato devono diventare una condizione diffusa, e smettere di essere considerati solo un privilegio. Non un sogno ma un progetto, anche politico, per il quale spendersi con convinzione.

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