Segue il primo di 3 articoli del vescovo di Macerata Nazzareno Marconi che presentano la parrocchia secondo il Concilio sulla base dai testi che la citano, ma soprattutto a partire dagli attributi della Chiesa: Una, Santa, Cattolica e Apostolica.


Ho sempre creduto buono e saggio fin dagli anni ’60 impegnarsi a realizzare “la Chiesa del Concilio!”. Ma ho anche incontrato preti e laici e forse qualche vescovo, che sognavano una Chiesa “oltre il Concilio”, perché bisognava essere “progressisti ad oltranza” e le parole del Concilio a loro sembravano già vecchie. Bisognava perciò “conservarne lo spirito, ma andare più avanti”.

In maniera parallela, forse non a caso, in quegli stessi anni avevo molti amici che dovevano “fare la rivoluzione” perché venisse finalmente la società nuova: prima il socialismo, poi il comunismo, poi l’ultra-comunismo, poi i nuovi diritti… con sempre meno doveri, poi diritti sempre più “strani”.

Non ritengo saggio rincorrere “il progresso secondo me”, ma cercare: qual è la Chiesa che il Signore vuole? Quale società nuova e migliore ci indica Gesù Cristo? Sono sempre più convinto che se già realizzassimo davvero “solo” la Chiesa del Concilio, solo quella che è descritta nei suoi documenti, saremmo molto più avanti nel cammino verso Dio ed il suo Regno di dove siamo ora.

Ma com’è la Chiesa del Concilio? La Chiesa della Lumen Gentium e della Gaudium et Spes? E più in concreto: come sono i vescovi, i preti, i diaconi, i consacrati e i laici che realizzano questa Chiesa? Quale diocesi e quale parrocchia pensava il Concilio? Proviamo a partire dal basso: dalla parrocchia sognata dal Concilio.

La prima cosa che colpisce è che il Concilio ha parlato molto della Chiesa e relativamente poco della parrocchia. Il Concilio ci suggerisce di avere prima ben chiaro cosa sia la Chiesa e solo poi teorizzare su come vorremmo organizzare e far funzionare la nostra parrocchia. E il punto di partenza, come dice anche il Credo, è che la Chiesa è “una”. Misteriosamente, perché la Chiesa è un mistero, ma la Chiesa è prima di tutto un mistero di unità. Unità che non esclude la varietà, anzi la presuppone come sua dimensione intrinseca. Unità che quotidianamente si fa nella comunione dei vescovi attorno al Papa, nel convenire delle molte Chiese Locali nell’unica ed universale Chiesa di Cristo. Unità tipica di un corpo vivo e non di una fabbrica ben organizzata; l’unità che vive un popolo in cammino, non un esercito in marcia; l’unità delle Chiese locali strette attorno al loro Apostolo e tutte attorno al Primo degli Apostoli. Unità ordinata e gerarchica certo, ma dove il Battesimo che tutti ci unisce all’unico Signore vale più di tutti gli altri sacramenti, che ci ordinano in un costante servizio reciproco. Per questo il titolo onorifico più importante nella Chiesa non è “Sommo pontefice”, ma “Battezzato”. Il Sommo Pontefice infatti è costituito “Servo di tutti gli altri”, che grazie al Battesimo sono elevati alla dignità di “Servi di Dio”.

Pensare la parrocchia richiede di calare questa visione fino al concreto vivente dentro il quale siamo inseriti ogni giorno. Vorrei rileggere alcune parole del Concilio specificamente dedicate alla parrocchia. Partiamo dal n. 42 della Sacrosanctum Concilium, la costituzione sulla liturgia: «Poiché nella sua Chiesa il vescovo non può presiedere personalmente sempre e ovunque l’intero suo gregge, deve costituire necessariamente dei gruppi di fedeli, tra cui hanno un posto preminente le parrocchie organizzate localmente e poste sotto la guida di un pastore che fa le veci del vescovo: esse infatti rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra».

La cosa più importante è che la Parrocchia non è il pezzo di una macchina, né la succursale locale di una multinazionale, ma un gruppo di fedeli particolarmente significativo per chi in un luogo concreto voglia incontrare la Chiesa, quell’unica Chiesa che è stabilita su tutta la terra. E così il Parroco che la guida diventa il modo concreto e quotidiano con cui il cristiano può incontrare e vivere la comunione con il Vescovo della sua Chiesa locale, che è l’Apostolo di quella Chiesa. Quello che emerge è poi che: «il vescovo deve costituire necessariamente dei gruppi di fedeli» che non sono solo l’assemblea parrocchiale. Questa ha un posto preminente tra i vari gruppi di fedeli, ma non il monopolio… Lo stesso linguaggio usa Lumen Gentium al n. 26: La «Chiesa di Cristo è veramente presente in tutte le legittime assemblee locali di fedeli le quali, aderendo ai loro pastori, sono anche esse chiamate chiese nel Nuovo Testamento. Esse infatti sono, nella loro sede, il popolo nuovo chiamato da Dio, nello Spirito Santo e in una totale pienezza». Forse non è superfluo sottolineare che secondo questi testi soltanto la Diocesi è “Chiesa” in senso pieno. La Parrocchia lo è in maniera subordinata, per quanto cioè è vitalmente inserita nel contesto della propria Chiesa locale ed è unita attraverso i suoi pastori al vescovo. Ritengo ci sia di che pensare e soprattutto ancora tanto da camminare per passare dalla teoria alla vita.

(Articolo n. 1 di 3)

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