di Ugo Bellesi

La prima lavabiancheria è “arrivata” in Italia nel 1945. Inventore era stato un teologo tedesco nel 1767 con centrifuga manuale. Nel 1797 un americano ottenne il primo brevetto. La prima, messa in commercio nel 1874, era ad energia elettrica.

E prima della sua diffusione come si faceva? Ne abbiamo notizia attraverso le interviste fatte alle lavandaie della prima metà del 20° secolo dagli alunni delle elementari “Anna Frank” di Villa Potenza, pubblicate nel 1998 nel volume “Villa Potenza – il fiume la fatica”. Nelle case ovviamente l’acqua non arrivava. Macerata però aveva alcuni lavatoi, come a fonte Pozzo di Mercato, a fonte Maggiore e sotto Porta S.Giorgio all’imbocco della stradina per S.Stefano. Ma per lavare bene occorreva l’acqua di un fiume e quello più vicino alla città era il Potenza. D’altra parte proprio dalle rovine di Helvia Recina era nata Macerata e quindi il legame con Villa Potenza era fortissimo.

È da quella frazione che tutti i lunedì arrivavano in città frotte di lavandaie. Erano trenta, quaranta, forse più. Ritiravano i panni sporchi (tranne la biancheria intima) dalle famiglie dalle quali avevano avuto questo incarico e ritornavano a Villa Potenza recandosi al fiume solo al pomeriggio per insaponare tutti i panni sporchi che poi venivano portati a casa e tenuti sotto sapone. Se lo sporco non andava via si usava il sistema della liscivia, impiegando la cenere posta sopra un telo che copriva il bucato e gettandovi sopra acqua bollente. Se necessario si ricorreva anche a polvere di potassa. Infine il mercoledì si sciacquava tutto al fiume. Subito dopo i panni si stendevano ad asciugare sui fili stesi nei cortili attorno le loro case o sulle siepi. Quasi tutte preferivano il lunedì per consegnare i panni asciutti e ritirare quelli sporchi. Quale era il compenso? Nel 1930 una lira e 50 cent. per un paio di lenzuola matrimoniali, 4 soldi per un asciugamano, 2 soldi per un tovagliolo.

Molto impegnativo il lavoro della lavandaia che riceveva la biancheria sporca dalle monache dell’Istituto San Giuseppe che avevano un collegio con 70 studentesse. La stessa aveva l’incarico di lavare anche la biancheria del vescovo Ferretti. Un’altra lavandaia si occupava della biancheria dell’ospedale che allora si trovava in piazza Mazzini. Faticoso anche il lavoro di quella che aveva l’incarico di lavare i panni dei soldati dell’Aeronautica alle Casermette, che nel 1947 erano mille. Portavano a Villa Potenza duemila lenzuola con un camion. Anche le caserme di Falconara e di Potenza Picena portavano i panni da lavare a Villa Potenza. C’era invece chi doveva lavare asciugamani, tovaglie e tovaglioli della Società Filarmonica.

Allora non c’erano le strade asfaltate ed era la breccia che rendeva più faticoso il trasporto della biancheria con i carretti tirati a mano da Villa Potenza a Macerata. Tra l’altro la polvere arrivava alle ginocchia. D’inverno quando c’era la neve bisognava prendere a noleggio un carrettiere che aveva il cavallo con cui si potevano trascinare fino in città anche quattro o cinque carretti legati uno dietro l’altro.Spesso le lavandaie si dovevano recare al fiume all’una di notte ed era buio. Portavano con sé un lume, che appendevano in cima da un palo. Restava acceso fino all’alba.

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