Davanti al monumento dedicato al maggiore dei carabinieri Pasquale Infelisi in via Achille Campanile a Macerata, questa mattina si è svolta una cerimonia nel ricordo del 78° anniversario della sua uccisione ad opera dei nazifascisti il 14/6/1944.

L’intervento del Sindaco Parcaroli

La cerimonia è stata promossa dal Comitato d’Intesa e dall’ALFA Settore Combattentistico e d’Arma del Comune di Macerata. La cerimonia guidata dal Luogotenente Colucci è iniziata con la deposizione di una corona d’alloro sulle note del silenzio. Dopo la deposizione della corona d’alloro il Sindaco di Macerata Sandro Parcaroli ha richiamato l’esempio del Carabiniere per la difesa della libertà. Il Comandante dei Carabinieri Nicola Candido ha sottolineato l’esempio del carabiniere in difesa della popolazione e in aiuto di coloro che lottavano per la libertà.

Ha poi preso la parola il generale Tito Honorati, Coordinatore Regionale dell’Associazione Nazionale Carabinieri delle Marche che ha sottolineato come la lotta partigiana per la libertà ha coinvolto tanti carabinieri e ha ricordato la sua personale esperienza quando i fascisti entrarono in casa alla ricerca del padre.

Il generale Tito Honorati

Presenti inoltre il Presidente del Consiglio Comunale Francesco Luciani e l’Assessore Paolo Renna.

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PASQUALE INFELISI: UNA VITA PER LA LIBERTÀ

Nato a Napoli nel 1899. Alla data dell’8 settembre 1943 era Maggiore dei Carabinieri e Comandante del Gruppo Territoriale della Provincia di Macerata. La sua avversione al fascismo si era manifestata già durante il Governo Badoglio (25 luglio – 8 settembre 1943) quando «attuò in pieno e con scrupolosità tutte le disposizioni tendenti a defascistizzare la provincia, a colpire tutti i fascisti accusati d’illeciti arricchimenti e quelli responsabili di crimini politici».  Sfruttando le sue ispezioni ai comandi dipendenti, costituì una rete clandestina di carabinieri con cui fece evadere prigionieri anglo-americani dal campo di Sforzacosta, realizzò azioni di sabotaggio a protezione dei membri della Resistenza.

Dal 16 settembre 1943 la provincia di Macerata fu occupata dall’esercito tedesco e si trovò a tutti gli effetti all’interno della Repubblica Sociale Italiana. Il Maggiore si attirò subito le critiche e i sospetti dei gerarchi locali (tra i quali il Console della Milizia Giovanni Bassanese, il capo della Provincia – una specie di Prefetto e Segretario Federale uniti insieme – Ferruccio Ferazzani e il suo successore Ubaldo Rottoli).

Verso la fine del mese di novembre arrivò l’ordine di prestare giuramento alla Repubblica di Salò ma Pasquale rifiutò, insieme a tutti i suoi ufficiali, chiedendo di essere congedato. Il congedo arrivò il 19 febbraio 1944 e comportava l’allontanamento immediato dalla città: Infelisi e il suo aiuto, il capitano Alfonso Vetrano «erano divenuti elementi politici pericolosi ai fini della tranquillità di Macerata». Il Maggiore chiese di poter restare qualche tempo avendo la moglie e una figlioletta malate. Ottenuto il rinvio del provvedimento, andò ad abitare in una casa colonica poco fuori Villa Potenza.

Fu ritenuto responsabile di un attacco operato il 7 giugno da alcuni patrioti al posto fisso dei carabinieri della frazione (ai quali erano stati affiancati “per sicurezza” dei militi di provata fede fascista). Questo attacco comportò solo la fuga dei militi e il disarmo dei carabinieri, invitati ad andare a casa. L’8 giugno venne arrestato e internato, insieme alla famiglia nel Manicomio di Santa Croce.

In molti tentarono, in tutti i modi, di liberarlo (don Mario Vincenzetti e padre Erasmo Percossi, le suore del manicomio, il capitano dei carabinieri Vittorio Gabrielli, il primario chirurgo dell’ospedale Benigno Baroni e l’allora vescovo Domenico Argnani, ma ogni tentativo fallirà.

Il 14 giugno la Questura ordinò di liberare la famiglia Infelisi e di consegnare il Maggiore ai soldati delle SS tedesche che puntuali arrivarono alle ore 20 e lo prelevarono con la scusa della deportazione in Germania. Fu invece condotto in contrada Montirozzo, in un podere del marchese Ciccolini, dove un Comando nazifascista aveva stabilito la sua sede provvisoria. Subì un pesante interrogatorio con pestaggio perché rivelasse informazioni sui suoi contatti ma lui non parlò. Fu trucidato con alcune raffiche di mitra sparate a bruciapelo e sotterrato in una fossa già approntata in precedenza. Aveva quarantaquattro anni.

Resta da dire che Giovanni Bassanese, già condannato a dieci anni di reclusione dal Tribunale Territoriale Militare di Firenze il 27 aprile 1946, usufruì dell’amnistia e il successivo 8 luglio fu disposta la sua scarcerazione per ottenere infine, il 2 maggio 1955, la piena riabilitazione dalla Corte di Appello di Firenze. Una recente ricerca di Maurizio Verdenelli avrebbe individuato uno dei responsabili materiali dell’eccidio nell’allora tenente delle SS Herbert Andorfer (1911 – 2003) che era di stanza a Macerata con il suo kommando impiegato in azioni di contrasto alla lotta partigiana. In seguito alla scoperta del cosiddetto Armadio della Vergogna il suo vice, il maresciallo delle SS Emil Schreiber fu processato dal Tribunale militare di Roma nel 2006.

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