In questi giorni di fine settembre si avverte un senso di spossatezza. Saranno i postumi di una estate troppo calda che sembrava non finire mai. O forse si tratta di qualcosa di più profondo e inquieto: l’idea di un naufragio incombente. Gli studiosi la chiamano “eco-ansia”. Il cambiamento climatico sta modificando il mondo che conosciamo, e le conseguenze si manifestano in numerosi ambiti, compreso quello psicologico.
I diversi fronti che si sono aperti negli ultimi tempi – la pandemia, la guerra in Ucraina, la crisi energetica – hanno contribuito a diffondere un atteggiamento disfattista, da fine dei giochi, simile a quello descritto dalla filosofa statunitense Donna Haraway nel suo saggio Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto. Il nostro – dice – è un mondo danneggiato ma ancora vivo, in divenire. Sta a noi decidere se abbandonarci alla stanchezza o tentare di reagire. Mettere in circolo, nelle multiformi piazze che frequentiamo, sguardi rassegnati, o attivarci per condividere energia.
Dicono le scienze sociali che siamo dei “cooperatori condizionali”, tendiamo cioè ad assumere comportamenti civici, se anche altri lo fanno. Su questi temi, e quelli relativi ai processi partecipativi che danno vita a forme di cittadinanza attiva, ha scritto più volte l’economista Leonardo Becchetti sulle pagine di Avvenire. È possibile ricostruire comunità, essere protagonisti consapevoli del nostro futuro, dare vita a circoli virtuosi di generatività. Condividere energie, appunto, e non solo in senso figurato.
Una delle possibili vie d’uscita alle crisi che stiamo vivendo, infatti, è proprio quella di dare vita ad un processo di transizione energetica, che ci faccia passare da un modello accentrato ad un modello diffuso e partecipato di autoproduzione e consumo di energia, proveniente da fonti rinnovabili. Oggi l’autoconsumo può essere attuato non solo in forma individuale, ma anche in forma collettiva, all’interno di condomini o di quelle che vengono chiamate “comunità energetiche” locali. Un modo efficace, tra l’altro, per limitare la dipendenza energetica da fonti fossili provenienti da altri paesi, e per contrastare il fenomeno della povertà energetica (nuclei familiari che non sono in grado di fare fronte alle spese primarie di riscaldamento, illuminazione…) diffuso purtroppo anche all’interno della Unione Europea. Una prospettiva caldeggiata anche dalla recente Settimana sociale dei cattolici italiani che si è tenuta a Taranto nell’ottobre 2021.
Lo scorso 30 giugno il Commissario straordinario alla ricostruzione Legnini ha approvato un bando per la presentazione di progetti relativi alla creazione di comunità energetiche di cui facciano parte almeno un ente pubblico o una pubblica amministrazione con una sede nei territori del cratere, finanziato con i fondi messi a disposizione dal Pnrr.
Produrre energia, condividere risorse, partecipare attivamente: sarebbe bello se un segnale di economia collaborativa potesse venire proprio dalle comunità colpite dal sisma.
Scrive Donna Haraway: in questi tempi confusi «assistiamo non solo alla morte cruenta e superflua dell’esistere e del progredire, ma anche ad una necessaria rinascita. L’obiettivo è generare parentele attraverso delle connessioni inventive”. Dobbiamo “scatenare una risposta potente dinanzi ad eventi devastanti, ma anche placare le acque tormentate e ricostruire luoghi di quiete».
La spossatezza di questo fine settembre ce la possiamo dimenticare. Costruiamo nuove forme di comunità: di energia ne avremo da vendere.