È domenica mattina, la seconda dell’anno. C’è il sole, e un caldo decisamente fuori stagione. Una coppia giovane, con un bambino seduto sul carrello, sta uscendo dal supermercato. Il papà ha appena salutato la commessa che l’ha aiutato a posizionare correttamente lo scontrino nel lettore ottico che sblocca la sbarra di uscita. Affissa alle porte scorrevoli c’è la locandina di un quotidiano. L’uomo legge distrattamente la notizia: su disposizione del Governo la nave della ONG Ocean Viking dovrà sbarcare nel porto di Ancona. “Li portano fin quassù a rompere, gli immigrati!”. “Ah sì? – risponde lei – A proposito, abbiamo preso i tovaglioli di carta?”. Ecco ciò che siamo diventati, viene da dire. Anche se non ce ne rendiamo conto facciamo tutti parte di quella “disumanità tranquilla, implicita, a tratti forsennata” di cui parla Edgar Morin nel suo ultimo saggio “Svegliamoci”. Di fronte alla minaccia delle gigantesche crisi che caratterizzano il nostro tempo, siamo tutti parte di una medesima “comunità di destino”. Però si tratta di una comunità incosciente – afferma il filosofo francese – caratterizzata da sonnambulismo e cecità. È proprio così?

Secondo il dizionario britannico Collins la parola “permacrisi” è quella che meglio rappresenta quanto è accaduto nell’anno 2022. Il neologismo indica una condizione di crisi permanente caratterizzata dal susseguirsi e dal sovrapporsi di eventi pericolosi e destabilizzanti, nei confronti dei quali la nostra capacità di reazione sembra essere congelata. Non è forse vero che, fatta salva qualche voce isolata, stiamo assistendo alla guerra in Ucraina con una rassegnazione preoccupante? Il quadro è ulteriormente complicato dal fatto che si tratta di crisi concatenate tra loro, tutte causate dai medesimi fattori, e i loro effetti tendono a moltiplicarsi in maniera esponenziale: cambiamento climatico, perdita della biodiversità, rischio di nuove malattie, carestie, flussi migratori, guerre. Anche la nostra regione è toccata da queste crisi: la valle glaciale del lago di Pilato è stata inserita, in una “Guida turistica ai deserti d’Italia” del fotografo Gabriele Galimberti, tra i territori italiani a rischio di desertificazione.

Che fare dunque? Come scrollarci di dosso questa pericolosa apatia?
In fondo la parola “crisi” è un termine ambivalente. Indica certamente un grave pericolo, ma anche una opportunità di cambiamento e di rinascita. La prima cosa da fare è proprio prendere coscienza del fatto che siamo tutti parte della stessa comunità di destino: gridiamolo forte, scriviamolo sui muri delle nostre case. Nei momenti di crisi, poi, è necessario abbandonare zavorre inutili per salvare l’essenziale. Dice Edgar Morin che è tempo di promuovere politiche che assicurino la crescita di ciò che salvaguarda e rigenera, e facciano decrescere ciò che inquina e distrugge. Il suo libro è ricco di esempi. Ma sopratutto è necessario presentare prospettive credibili, in grado di mobilitare energie e di rompere l’incantesimo della rassegnazione.

La storia ci insegna che a volte ciò che appare improbabile può accadere. La mente umana è ricca di potenzialità inespresse che attendono solo di essere attivate.

Ci sono ferite luminose, squarci di luce, e segni di chiaroveggenza. È tempo di alzarsi dai bordi delle strade, è tempo di riprendere a camminare insieme. Chi lo farà, conclude Morin, sarà chiamato restauratore di speranza.

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