Il 10 Febbraio è il giorno istituito per ricordare quello che è accaduto tra il 1943 ed il 1945 a migliaia di italiani e chiederci perché è accaduto e imparare che,  il nazionalismo cieco, il disprezzo per l’altro, la certezza che noi abbiamo sempre ragione a tutti i costi, hanno determinato i comportamenti che portarono a quella tragedia. Cosa ha scatenato una violenza così feroce? La storia è fatta di cause, di fatti e di conseguenze. Fino a qualche anno fa delle foibe non si trovava traccia neanche nei libri di storia, si era tentato di rimuoverla completamente e anche oggi ci si dimentica spesso, forse volutamente, di quel pezzo di storia dove anche gli italiani prima che vittime furono carnefici. Il dramma delle foibe istriane e triestine ha origini fin dal 1918 quando l’Italia riceve a seguito della vittoria nella Prima Guerra Mondiale, tutta l’Istria con circa 500 mila slavi senza il loro consenso.

È secolare la contesa tra popolazione italiana e popolazione slava per il possesso dei territori di Nord-Est, quelli dell’Adriatico orientale, contesa che dopo la vittoria mutilata porterà D’Annunzio ad occupare illegalmente l’Istria contestando la mancata assegnazione all’Italia di quei territori. Con l’avvento del Fascismo iniziò l’italianizzazione di quelle terre.

L’occupazione italiana dei territori della Jugoslavia rimane un lato oscuro della nostra storia di cui si parla poco, la Giornata del Ricordo per non dimenticare le vittime delle foibe e dell’esodo degli italiani dai territori istriani è un’occasione che ci viene offerta per conoscere, approfondire e ribadire che la violenza genera violenza in un vortice sempre più malvagio. Questo non vuol dire sminuire la tragedia di quel periodo ma prendere atto che prima c’è stata un’occupazione italiana. Già dal 1919 iniziarono azioni violente con la caccia allo slavo mentre il Consolato jugoslavo viene invaso e vengono dati alle fiamme istituzioni culturali ed economiche degli sloveni giuliani. Sul quotidiano “Il Piccolo” di Trieste si legge “Le fiamme del Balkan purificano finalmente Trieste, purificano l’anima di tutti noi”. Il partito fascista da poco costituito a Trieste diventava vero e proprio partito armato, con violente azioni squadriste e diventava paladino della borghesia triestina e degli ambienti liberalnazionali giuliani e si presentava come sicura forza anti slava e antioperaia.

Questo fu l’inizio di una dura e violenta politica di oppressione etnica, che il fascismo e nazionalismo triestini e giuliani perseguiranno per tutto il ventennio nei confronti della minoranza slava, slovena e croata. Fu l’inizio di un’opera violenta e capillare, di italianizzazione e di fascistizzazione della Venezia Giulia. Dopo che Mussolini assunse la carica di primo ministro e giunse al potere, il fascismo nella Venezia Giulia, senza abbandonare i metodi delle spedizioni punitive, degli assassinii e delle aggressioni sistematiche a persone, si presentò con un preciso programma “legale” di forzata italianizzazione. snazionalizzazione nei confronti dei circa 500.000 sloveni e croati che il Trattato di Rapallo aveva destinato a vivere dentro i confini dello Stato italiano. Senza aspettare le leggi speciali “fascistissime”, gli sloveni e i croati videro chiudere, uno dopo l’altro, con disposizioni amministrative e atti di violenza, i loro centri culturali, i giornali; vennero proibite tutte le pubblicazioni. Espropriate le terre ai contadini slavi che avrebbero lavorato per i padroni italiani sulle loro terre. Vennero proibite le lingue slave nei tribunali, negli uffici pubblici, nei negozi inizia un “genocidio culturale” come si legge nel Manifesto di Dignano

P.N.F. – Comando Squadristi – Dignano
Attenzione!
Si proibisce nel modo più assoluto
che nei ritrovi pubblici
e per le strade di Dignano
si canti o si parli in lingua slava.
Anche nei negozi di qualsiasi genere
deve essere una buona volta adoperata
SOLO LA LINGUA ITALIANA
Noi Squadristi, con metodi persuasivi,
faremo rispettare il presente ordine.
GLI SQUADRISTI

Vennero cancellate le insegne pubbliche e le indicazioni stradali e si arrivò anche a trasformare il proprio cognome e persino proibite le scritte slave sulle pietre tombali. Con la riforma Gentile, molti insegnati furono allontanati e vennero abolite le scuole delle minoranze. Nel 1925 al congresso dei fascisti istriani il commissario Horst Venturi disse che “… ci sono in questa regione sacerdoti che non sono Italiani e non comprendono cosa significhi essere italiano e cocciutamente insistono nel celebrare le funzioni religiose in lingua slovena. Noi invece affermiamo che in Italia si può pregare solo in italiano “. Per questa numerosi preti subivano aggressioni e violenze da parte di squadre fasciste. Molti intellettuali, sacerdoti e persino un Vescovo furono deportati in Sardegna. Dopo il Concordato l’istituzione ecclesiastica finì con l’assecondare quella politica, mentre alcuni Vescovi contrari alla politica anti slava furono costretti a ritirarsi. Nel 1927 tutte le organizzazioni sociali e ricreative ed economiche vennero soppresse e i loro beni confiscati. Furono espropriate le terre ai contadini sloveni e vennero date agli italiani che come coloni avevano proprio i contadini sloveni proprietari prima di quelle terre. Nel 1929 la violenza contro le popolazioni slovene e croate raggiunse il culmine. Nel settembre del ’30 si ebbe, poi, il primo processo triestino del Tribunale Speciale si concluse con la condanna a morte di quattro sloveni imputati di cospirazione per l’abbattimento delle istituzioni e delle organizzazioni italiane. Vennero fucilati il mattino seguente al poligono militare di Basovizza. Intanto la guerra era alle porte e ogni progetto di bonifica etnica non poté più essere attuato. Poi la lacerazione di quelle terre. Nel ‘44 incominciò in Montenegro la Resistenza, che ben presto si estese in Serbia, Bosnia, Croazia ed in Slovenia, le autorità militari italiane incominciarono a compiere le scelte più dure e ad adottare i provvedimenti più drastici. E ben presto il movimento resistenziale sloveno e croato entrò nella Venezia Giulia e nel Friuli orientale, collegandosi con nuclei partigiani del luogo e chiedendo sostegno che da gran parte della popolazione slava. In 29 mesi di occupazione italiana nella sola “provincia” di Lubiana vennero fucilati o come ostaggi o durante operazioni di rastrellamento circa 5.000 civili, ai quali vanno aggiunti i circa 200 bruciati o massacrati in modi diversi. 900, invece, i partigiani catturati e fucilati. A questi si devono aggiungere altre 7.000 persone, in gran parte anziani, donne e bambini, morti nei campi di concentramento in Italia. Complessivamente oltre 13.000 persone. Nel luglio del ’42 i campi di internamento per sloveni e croati presenti in Italia erano 202. Tanto grave era la situazione nei campi di Concentramento italiani che anche la Santa Sede con una nota del novembre ’42 intervenne per richiamare le autorità fasciste ad avere un trattamento più umano nei confronti degli internati. L’invasione poi della Jugoslavia ed il suo smembramento significarono, per la Venezia Giulia, il rimettere in discussione la sua appartenenza statale e saldare il destino di questa regione a quello della Slovenia e della

Foiba

Croazia. Diceva Elio Apih, uno dei maggiori esponenti della storiografia triestina del Novecento, di quel periodo “Ormai solo l’esile filo della violenza sosteneva il dominio fascista nella Venezia Giulia, e fu violenza forsennata e disperata, che si esplicò sia nella repressione civile, che nelle operazioni militari ed in quelle di polizia. Tra la fine del 1942 e l’estate del 1943 fu combattuta, nella regione, una piccola guerra totale, senza peraltro che l’estremo radicalismo fascista riuscisse a concretizzarsi in una vera e propria azione politica “. Le organizzazioni fasciste avevano perso la capacità di controllare il territorio e le azioni furono l’assalto a Trieste ai negozi slavi e a quelli ebrei, la caccia in città a chi parlava slavo, tutte segnate da rabbia ed impotenza. I fascisti non riuscivano più a governare così le violenze si fecero più feroci come quelle a fianco delle SS quando un intero villaggio venne dato alle fiamme come quello di Pothum, 108 uomini vennero fucilati sul posto, le 185 famiglie del paese furono deportate. Altri rastrellamenti e incendi di case in tanti altri villaggi. Dopo l’8 settembre 1943, la resa incondizionata dell’Italia, il crollo dell’esercito e delle istituzioni portarono il Friuli e la Venezia Giulia anche formalmente al di fuori della sovranità italiana. Così con ordinanza di Hitler venne costituita la “Zona d’Operazioni Litorale Adriatico”, comprendente le province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana. Tutti i poteri vennero affidati ad un supremo commissario nazista. In Istria e nel Goriziano divampò la Resistenza slovena e croata, che in alcuni casi operò a fianco delle formazioni italiane del Friuli e della Venezia Giulia. Nel complesso i caduti sloveni nella guerra di liberazione furono 20.000 su 89.800 combattenti, ai quali vanno aggiunti coloro, partigiani e civili, che sono scomparsi nei campi di sterminio nazisti e nella Risiera di San Sabba, dei quali non si conosce il numero ma che è di qualche migliaio, ed i 7.000 morti nei campi di internamento italiani. Tra il 1943 ed il 1945 arriva la vendetta di Tito e quindi i massacri delle foibe, eccidi terribili di militari e civili italiani da parte dei partigiani jugoslavi e dell’OZNA polizia politica, la vendetta per quello che avevano subito le popolazioni slave. Una vendetta terribile di cui le foibe sono la testimonianza insieme con i deportati nei campi di lavoro sloveni e tanti furono gli esuli. Ancora una volta nel ricordo si deve ricordare che la violenza produce altra violenza. Per chi volesse approfondire:

Marco Girardo: Sopravvissuti e dimenticati. Il dramma delle foibe e l’esodo dei giuliano-dalmati Edizioni Paoline

Eric Gobetti  E allora le foibe? Laterza

Giacomo Scotti  Dossier foibe Ed. Manni

Enrico Miletto Novecento di confine Franco Angeli

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