Giuseppe Notarstefano
Si è svolto sabato 18 all’Abbadia di Fiastra l’incontro pubblico proposto dall’Azione Cattolica della Diocesi di Macerata con il professor Giuseppe Notarstefano Presidente Nazionale dell’associazione sul significativo tema “Uomini di pace, senza pace”. Un incontro che possiamo definire dialogico, di scambio.

Si inizia con Francesco Garbuglia. Presidente diocesano, che ringrazia il Presidente Nazionale per aver accolto l’invito, poi il grazie doveroso a Don Rino Ramaccioni perché a lui si deve l’idea dell’incontro e per essere sempre da sprone per tutta l’Associazione. L’incipit è nella scelta della storia del soldato russo che si è rifiutato di combattere e dice «amo il mio paese ma non voglio uccidere».

Il presidente diocesano Ac Francesco Garbuglia
La scelta dell’Abbazia di Fiastra non è causale, ma perché è simbolo del silenzio e della pacificazione interiore. Ad iniziare il lavoro per la Pace sono Stefania Sagripanti e Serena Canullo, responsabili diocesane dell’Acr. Raccontano le esperienze vissute nel mese della Pace dai ragazzi dell’Acr. In modo particolare parlano di un grande campione di pace, Kirk Kilgur che è stato il primo grande campione americano di pallavolo a giocare in Italia. Nel 1975 vince lo scudetto diventa anche assistente allenatore della Nazionale Italiana. L’anno dopo il dramma un grave incidente lo costringe sulla sedia a rotelle. L’11 febbraio del 2000 al Giubileo degli Ammalati ha recitato questa preghiera: Egli mi rese debole per conservarmi nell’umiltà, domandai a Dio che mi desse la salute per realizzare grandi imprese. Egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio. Gli domandai la ricchezza per possedere tutto, Egli mi ha lasciato povero per non essere egoista. Gli domandai il potere perché gli uomini avessero bisogno di me. Egli mi ha dato l’umiliazione perché io avessi bisogno di loro. Domandagli a Dio tutto per godere la vita. Egli mi ha lasciato la vita, perché io potessi essere contento di tutto. Signore non ho ricevuto niente di quello che chiedevo ma mi hai dato tutto quello di cui avevo bisogno e, quasi contro la mia volontà, le preghiere che non feci furono esaudite. Sii lodato mio Signore: fra tutti gli uomini nessuno possiede quello che ho io.

Giuseppe Notarstefano
Emanuele Biagioli, Responsabile diocesano per i giovani racconta con una videointervista, l’idea dei giovani sulla pace. La voce di Fiorella Mannoia sulle note di “Io non ho paura” introduce l’intervento con cui Marina Rinaldi, membro dell’Equipe diocesana degli adulti, presenta le attività degli adulti e i tanti interrogativi.

Dopo ogni intervento Notarstefano propone alcune riflessioni. Qui ne viene proposta una sintesi: «La cultura della pace non si conquista una volta per sempre, è allenamento continuo. Oggi viviamo una cultura narcisistica, ma da soli non si va da nessuna parte. Lo scandalo della guerra in Ucraina è di una guerra tra cristiani che lascerà cicatrici profonde, mentre il ruolo delle religioni dovrebbe essere quello della pace». Ricorda il Presidente «come forte è il bisogno di allenarsi per un cammino di pace, è un esercizio quotidiano a partire da stili di vita sobri. È un guardarsi negli occhi in contrapposizione al nascondimento dietro una tastiera. I giovani sono consapevoli delle difficoltà che ci sono per un cammino di pace, ma trovano ad esempio nella musica, un motivo di unità, per loro la sfida è soprattutto quella interiore per poi immergersi nella vita del mondo al di là delle paure e gli adulti devono imparare a fidarsi di loro».

Francesco Garbuglia
«Un mondo, quello degli adulti – continua Notarstefano – che vivono la vita di corsa e in generale senza spazio per l’altro. Viviamo un mondo occidentale che non si salva da solo, mentre ci sentiamo noi come unici e sola parte del mondo. In realtà dobbiamo sempre più affidarci alla cultura dell’ospitalità, avere a cuore il problema dell’immigrazione perché sappiamo bene che quella povertà è stata causata dal nostro benessere. Accogliere è fare spazio, lo ricorda papa Francesco nell’ Enciclica Fratelli tutti quando parla di come la politica ha strumentalizzato il problema dell’emigrazione. Noi dobbiamo tornare alla parabola del buon samaritano, l’uomo che prima soccorre e poi accoglie. Dovrebbe essere quello il metro anche per ogni politico. Accoglienza come risposta umana, ma anche accoglienza come risposta sociale, perché la nostra è una realtà che invecchia sempre di più e sempre più a lungo, anche per questo dovremmo aprire le braccia e costruire spazi da coltivare contro il disagio e la paura verso il divers,o perché questa è la sfida della pace per una vera convivenza, anche se faticosa. Come ci invita ancora Papa Francesco bisogna riconoscere la dignità e il valore dell’altro e noi abbiamo due grandi sfide: la questione degli immigrati che sono da guardare nella logica del dono reciproco e della gratuità e la tensione tra locale e universale. La solitudine e l’insicurezza hanno generato la mancanza di nuovi orizzonti e si fa strada la paura del diverso da cui bisogna difendersi, ritorna la tentazione dei muri nel cuore e nella terra. Eppure insieme a queste difficoltà ci sono tanti percorsi di speranza come i volontari che sono ad accogliere chi scappa da guerra e fame, ricordando il passo del Vangelo: “Ero straniero e mi avete accolto”.
Per chi è cristiano le parole di Gesù non possono essere confuse. Ma la pace è una dimensione della vita delle persone che chiede di essere messa in discussione continuamente. Per noi credenti questo significa conversione che riconosce davvero la presenza del Signore e che dobbiamo cercare di farlo insieme. Questa è la sfida di questo tempo, io direi il segno di questi tempi. Sta a noi la capacità di costruire la pace e la speranza nel dialogo, nell’accoglienza e in una cultura più ospitale. Siamo chiamati a pensare e generare un mondo aperto, non solo una globalizzazione economica ma soprattutto una globalizzazione umana contro le derive che portano allo scontro tra religioni, tra diversi colori della pelle. Bisogna costruire insieme un percorso in cui si inizia con rispettare il punto di vista dell’altro e le differenze sono creative, serve solo il dialogo. La guerra può presentarsi come soluzione in situazioni estreme; sembrava un fantasma del passato, è diventata una minaccia costante. Sappiamo bene che la guerra porta rischi e danni superiori a quella che potrebbe esserne l’utilità, e le ragioni della Pace sono sempre più forti. Ogni guerra lascia sempre il mondo peggiore di come l’ha trovato; è un fallimento della politica e dell’umanità. Bisogna guardare ai danni collaterali: le vittime civili, le violenze, gli orfani, le distruzioni. La deterrenza nucleare, dice il Papa, è inadeguata a rispondere alle sfide di oggi: il terrorismo, la sicurezza Informatica e ambientale, la povertà. Fondare l’equilibrio sociale sulla paura non porta a cammini di pace, bisogna invece cercare il bene comune e non gli interessi privati. Invece di spendere soldi con le armi sarebbe più opportuno creare un fondo per sconfiggere fame e povertà».

Al termine dell’incontro, prima della Celebrazione Eucaristica si chiede a ognuno dei numerosi partecipanti all’incontro di firmare la nostra adesione a un invito di don Primo Mazzolari: «Ci impegniamo noi e non gli altri, unicamente noi e non gli altri. Ci impegniamo senza pretendere che altri s’impegnino come noi o a modo loro. Ci impegniamo senza giudicare chi non s’impegna, senza condannare chi non s’impegna, senza disimpegnarci perché altri non s’impegnano». La Pace deve diventare impegno continuo nella vita di ognuno.

La conclusione non poteva non essere conviviale, e ai tavoli si è continuato a parlare dell’Associazione e di Pace, di Accoglienza e rispetto dell’altro.

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