Per comprendere questo Vangelo di risurrezione è bene, prima di tutto, metterci nei panni di Maddalena, Pietro e Giovanni, i tre protagonisti della scoperta che Gesù era risorto. La prima cosa che appare chiara è che non se lo aspettavano. Per loro, tragicamente, la storia di Gesù e la loro storia con lui era finita, morta e sepolta. Maria va a ripeterselo, che tutto era finito, in modo molto femminile: prendendosi cura di ciò che restava, una tomba su cui da ora in poi piangere e pregare. Pietro e Giovanni vanno a confermare questa fine, in modo molto maschile: con decisione e di corsa; dopo che i discorsi della Maddalena sulla tomba vuota rischiavano di portare nuova confusione e scompiglio nella comunità.

Per tutti e tre la resurrezione è prima di tutto fare esperienza di un atto di Dio, che, come tutti gli atti di Dio, ci prendono sempre di sorpresa. Dio lo aveva detto già nell’Antico Testamento che non riusciremo mai a prevederlo e prevenirlo, perché «i suoi pensieri non sono i nostri pensieri e le sue vie non sono le nostre vie». Chi di noi avrebbe lasciato sconfiggere così duramente il Cristo, nella sua lotta contro il male, lasciandolo addirittura morire in croce! «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, non porta frutto» era un pensiero di Gesù, che la pensa come il Padre, ma non è certo un pensiero nostro. Davanti alla morte solo Dio può pensare che si tratti di una via per portare frutto. Noi fuggiamo sempre davanti a ogni morte, a ogni privazione, a ogni sacrificio.

Dopo la sorpresa, quando Dio agisce, per tutti sorge sempre una domanda: l’incontro con il Dio vivente non ci lascia tranquilli nella nostra falsa pace. «Chi ha rubato Gesù?» si chiede Maddalena. Per lei Gesù era un tesoro prezioso, anche da morto; perciò, crede che qualcuno possa averlo rubato. Non ha capito niente, ma chi ama non sbaglia, anche se non lo sa. Va perciò a cercare quel Gesù prezioso che qualcuno le ha rubato. A lei per prima apparirà Gesù, proprio perché per lei Lui era il tesoro più prezioso e meritava questo primato.

Pietro e Giovanni hanno una domanda più vaga e concreta: «Cosa può essere successo?».
Pietro entrò e vide. Con i suoi occhi contempliamo anche noi la scena.
La grande pietra ribaltata, come spinta da chi volesse uscire fuori. La tomba vuota. I teli che avvolgevano il corpo al loro posto, ma afflosciati; come se Gesù fosse svanito in un lampo di luce attraverso di essi. Il sudario piegato e poggiato da un canto, come se prima di andarsene si fosse tolto questo velo dalla faccia, per riprendere a vedere bene il mondo e camminare con speditezza verso una nuova meta.

Pietro vide e rimase come paralizzato, tutto sembrava chiaro eppure nulla aveva senso: i morti non si comportano così e lui l’aveva visto bene che Gesù era morto davvero. Anche Lazzaro, quando era risuscitato, aveva avuto bisogno di aiuto per slegarsi dalle bende. «Gli uomini non sgusciano via così dalle braccia della morte», pensava Pietro, bloccato da questo interrogativo. Giovanni, come lui e dopo di lui «vide ogni cosa». Ma non restò paralizzato, bloccato. Giovanni prese il filo del pensiero di Pietro ed osò portarlo avanti: «Gli uomini non sgusciano via dall’abbraccio della morte, ma Gesù, quel Gesù che abbiamo veduto, ascoltato, toccato, non era solo un uomo; Gesù è il Verbo della vita, è il figlio di Dio venuto ad abitare in mezzo a noi». E Giovanni per primo «vide e credette».

Qui, sulla soglia di quella tomba è nata la nostra fede, quella fede che ci è stata donata nel Battesimo e con cui combatteremo fino alla fine dei nostri giorni, perché la fede vera non è una pietra ferma e fredda come la pietra del sepolcro. La fede vera è come il fuoco e la luce, presente e fragile, forte e sempre a rischio di spegnersi. Con la fede si lotta ogni mattina, per farla uscire dal sepolcro dei nostri dubbi, perché per la fede ogni mattina è Pasqua. La fede o risorge o muore, ogni giorno.

Questo è il grande mistero della nostra fede. Una fede appoggiata ogni giorno su tanti segni che, come Pietro, possiamo scrutare e contemplare. Ma spesso come lui restiamo fermi, bloccati. Una fede che si appoggia su un amore che sa che Gesù è il nostro tesoro, anche se non capiamo, come per Maddalena, che tuttavia va cercando il suo Signore.
Una fede che se si arrende a Dio, se accetta il suo mistero che sempre ci sorprende, come per Giovanni, può risorgere ogni mattina dai dubbi e dalle notti delle nostre faticose giornate di croci.

Questa è la fede pasquale e non è strano che Pasqua significhi “passaggio”, perché è la fede nel passaggio di Gesù che attraversa le nostre giornate, ci passa accanto risorto e vivo e va oltre, e solo se lo seguiamo potremo vederlo, riconoscerlo e credere in Lui. In ogni celebrazione eucaristica, dopo la consacrazione, il celebrante proclama: «Mistero della fede». L’assemblea risponde: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta».

La risurrezione di Gesù va compresa all’interno dell’intero mistero della salvezza in cui crediamo e di cui viviamo. Non può essere isolata dalla Passione del nostro oggi e dall’incontro con Cristo nella gloria del cielo, verso cui ognuno di noi cammina. La risurrezione non cancella la croce, Gesù risorto infatti apparirà con le piaghe della crocifissione. Questo significa che anche nella nostra vita di risorti con Cristo, la presenza della croce non è un segno che Dio ci ha abbandonato. Questa vita ci chiederà ancora di portare la croce, anche quella dei dubbi di fede, ma nella luce di speranza della risurrezione.

Credere nella resurrezione, perciò, non è fermarsi a guardare la tomba vuota, la morte sconfitta, ma come dice Paolo nella seconda lettura «pensare alle cose di lassù», cioè guardare alla vita nella prospettiva della vita eterna, valutare come davvero preziose solo le cose che restano altre la morte, quelle con cui ci presenteremo a Cristo nell’ultimo incontro.

+ Nazzareno, vescovo

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