Avevo preso con tutta la calma l’auto per andare al mio paesello di origine. Mia mamma anziana mi aspettava.
La città era quasi deserta, tutti in vacanza per fuggire il caldo.
Ero calma e rispettavo i limiti di velocità della città, ancora più prudente dopo i tanti omicidi stradali accaduti nelle prime settimane di agosto.
Un 18enne morto investito da un’auto sul marciapiede a Milano, una donna investita a Torino e ferita gravemente. Morto in ospedale il 13enne investito da auto pirata a Negrar di Valpolicella vicino Verona. Un 65enne travolto sulle strisce pedonali da una moto: morto sul colpo ad Agnano Terme. Per fare un brevissimo riassunto 202 pedoni travolti nel 2023.
Prendo una via a doppio senso con ai lati due file di auto parcheggiate.
All’improvviso sento un rombo, guardo dallo specchietto e vedo una vettura grigia, piatta e sicuramente di grossa cilindrata, romba impaziente, grintosa, e come stizzita mi segue vicino…vicino. Arrivo a un semaforo e simile a uno scorpione minaccioso si incolla quasi alla mia vettura. La sua fretta denota l’impazienza di chi si sente più forte e potente e quindi in diritto di infrangere tutti le norme del codice stradale: 50 km orari in città e divieto di sorpasso sulle strisce continue.
Io resto tranquilla nella mia corsia, abituata a queste persone che sulla strada diventano potenziali assassini che mettono in pericolo non solo la vita propria ma soprattutto quella degli altri.
L’auto continua a rombare, a ronzare, a rumoreggiare, a tuonare, a farsi minacciosa. Come vedo un angolo sicuro metto la freccia e mi accosto, lasciandola per la sua strada.
Come se si trovasse nella pista di Maranello, questa si getta all’impazzata sul fantomatico circuito e scompare tra il verde degli alberi intorno e l’azzurro del cielo.
Quale fretta dirigeva quella povera persona? Quale necessità? Probabilmente nessuna.
Solo quella di far rombare la sua auto per provarne la potenza.
Ci sono persone che vanno in fretta per nessun fine, anzi di sproposito e sono veramente da biasimare. La fretta dicono i saggi è una cattiva consigliera.
Ma ci sono delle eccezioni e ce l’ho ha ricordato ultimamente Papa Francesco in occasione della XXXVII Giornata Mondiale della Gioventù, ha coniato l’appellativo Maria appressada ₌ Maria frettolosa.
Appena venne a sapere che sua cugina era incita – era avanti con l’età la cugina – partì di corsa. È una traduzione un po’ libera, il Vangelo dice “andò in fretta”, noi diremmo “partì di corsa”, partì di corsa con quel desiderio di aiutare, di essere presente.
Ci sono tanti titoli di Maria, ma pensandoci uno che pure potremmo dire è questo: la Vergine “che va di corsa”, ogni volta che c’è un problema; ogni volta che la invochiamo, non indugia, viene, è premurosa… Si affretta per stare vicino a noi, si affretta perché Madre. In portoghese si dice “apressada”.
Possiamo dire dunque frettolosa, donna frettolosa. Un difetto attribuito a tante persone che per strada sfrecciano con le auto anche se niente preme loro, per noi cristiani in questo caso diventa invece una virtù come indica l’apostolo Paolo: La carità, l’amore di Cristo ci spinge, e non possiamo rimanere fermi.
Questa affermazione si presta bene a illuminare quanto avviene nell’intimo cuore di Maria, perché indica che la carità non ha tempo, non calcola, non ha limiti.
Maria frettolosa è la donna che cammina, che non si ferma davanti agli ostacoli e che ci invita a fare altrettanto. Papa Francesco riprende il tema del cammino in questi termini:
Uno getta la spugna perché non ha voglia di andare avanti e allora uno si arrende, smette di camminare e cade. Voi credete che una persona che cade, nella vita, che ha un fallimento, che anche commette errori gravi, forti, che la sua vita sia finita? No! Che cosa bisogna fare? Alzarsi! E c’è una cosa molto bella che oggi vorrei lasciarvi come ricordo. Gli alpini, ai quali piace scalare le montagne, hanno un canto molto bello che dice così: “Nell’arte di salire – sulla montagna –, quello che conta non è non cadere, ma non rimanere caduto”. È bello!
Chi rimane caduto è già “andato in pensione” dalla vita, ha chiuso, ha chiuso alla speranza, ha chiuso ai desideri e rimane a terra. E quando vediamo qualcuno, un nostro amico che è caduto, cosa dobbiamo fare? Sollevarlo. Fate caso a quando uno deve sollevare o devi aiutare una persona a sollevarsi, che gesto fa? Lo guarda dall’alto in basso. L’unica occasione, l’unico momento in cui è lecito guardare una persona dall’alto in basso, ed è per aiutarla a rialzarsi. Quante volte, quante volte vediamo persone che ci guardano così, sopra le spalle, dall’alto in basso! È triste.
Bene, questo un po’ è il cammino, la costanza nel camminare. E nella vita, per ottenere le cose bisogna allenarsi a camminare. A volte non abbiamo voglia di camminare, non abbiamo voglia di fare fatica.
Ho ripreso tutta questa parte di uno dei discorsi del Papa a Lisbona perché lo collego alla mia vita, a quella degli altri, alla vita della Chiesa, dove in alcuni casi vedo un andare stanco senza entusiasmo, un ripetere degli stereotipi.
Allora ritorno al punto di partenza a quell’auto che rombando è sfrecciata tuonando, violando non solo il codice della strada ma il bene comune che ci indica che non siamo soli che qualcuno può diventare vittima di qualche pirata assassino.
Mi domando, perché non ho mai sentito un’omelia che toccasse questi temi così attuali, così quotidiani. Si predica non uccidere e si tace. Ma basta uscire dalla chiesa e vedere sfrecciare vetture che superano i limiti consentiti. Sulle strisce pedonali spesso bisogna correre per paura che gli impazienti e tracotanti automobilisti non prendano un lembo del vestito, come se il codice non prevedesse che proprio lì bisogna fermarsi e lasciare attraversare con dignità, il giovane, l’anziano (e sono molti nelle nostre città) i bambini.
Non uccidere ci ammonisce il comandamento ma non bisogna prendere una pistola per farlo, basta premere un po’ più l’acceleratore incurante dell’altro.
Perché nessuno parla di questo problema, perché nessuno si sdegna? Perché noi cristiani tacciamo, la vita è sacra in ogni momento dal concepimento alla morte.
Mi sorge spontanea una supplica a Maria donna della fretta:
Aiutaci ad essere frettolosi nell’aiutare e prudenti nel guidare,
Sorveglia le nostre smanie di grandezza e rendici umili nelle strade del mondo per condurci sani a casa e apprezzare la nostra vita e quella degli altri.
Aiutaci a scrutare attenti i bisogni altrui con fretta e impazienza, ma a osservare prudenti chi passa davanti a noi chiedendoci tempo e comprensione.