Non ricordo quando fu la prima volta che presi coscienza di come lei contava nella mia vita e in quella della mia famiglia. Ma era già presente fin dalla mia nascita quando sollecita accompagnò mia mamma all’ospedale e le stette vicino con cura e tenerezza. Era minuta di statura la più grande di undici figli, quasi la sorella maggiore di mia nonna. Da quando il tifo le strappò la figlia diciasettenne io la ricordo sempre vestita di nero, con il fazzoletto in testa come le donne di quell’epoca. Era sopravvissuta alla perdita di due figlie e di un nipote adolescente, anch’egli tragicamente scomparso. Ci univa la parentela ma non solo, una fede solida che la rendeva come un giunco che durante la tempesta si lascia piegare dal vento ma non si spezza sotto il peso del dolore che gli provocano pioggia, grandine, burrasche. Dopo tanti anni mi sono domandata più volte da dove le proveniva la forza, lei piccola e gracile. “Come hai fatto?” Le chiese la figlia un giorno”. “La fede” rispose semplicemente. La Verità ci ricorda il Vangelo la capiscono solo i piccoli, gli umili, cioè quelli che non presumono di sapere tutto e di capire tutto e proprio per questo rimangono in ascolto, attenti, aperti, accoglienti (Cfr. DON LUIGI MARIA EPICOCO, HTTPS://WWW.FAMIGLIACRISTIANA.IT/BLOGPOST/DON-EPICOCO-COMMENTO-VANGELO-19-LUGLIO-2023.ASPX). La logica della piccolezza non significa diventare infantili e giocare a fare i falsi umili, ma essere strumenti docile nelle mani del Signore. Questo dono viene direttamente dallo Spirito Santo che tutti abbiamo ampiamente ricevuto fin dal nostro battesimo.
La logica della piccolezza è la certezza fiduciosa che tutto quello che avviene nella nostra vita non è per caso e frutto di un destino cieco. Essa non si affida alle parole vuote che spesso ascoltiamo purtroppo anche nell’ambito ecclesiale, quando la mondanità di cui parla Papa Francesco si fa strada nei pulpiti di tante chiese, dove il pastore si crogiola nelle sue parole, nei suoi titoli teologici, nelle sue omelie erudite, nelle benedizioni ampie ma prive di empatia, in gesti studiati che non rispondono alla situazione di persone che come pecore allo sbando non sanno più cosa credere ma soprattutto chi ascoltare. La mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa, consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale… Dal momento che è legata alla ricerca dell’apparenza, non sempre si accompagna con peccati pubblici, e all’esterno tutto appare corretto. Ma se invadesse la Chiesa, «sarebbe infinitamente più disastrosa di qualunque altra mondanità semplicemente morale (Evangelii gaudium 93). Lei invece, lungi dal cercare le apparenze, era presente al momento opportuno nel posto giusto. Sapeva captare quando e dove stare, quando e chi aiutare. La trovavi mentre la cercavi e sempre aveva parole di conforto, gesti semplici di aiuto, senza mai chiedere niente in cambio. In chiesa non ricordo di averla vista mai in prima fila, credeva e basta, non le servivano riconoscimenti, applausi. Si dedicava a fare quello che la vita le richiedeva: la mamma, la nonna, la zia, la cognata, con un fare schivo, discreto, rispettoso.
I suoi capelli, che avevo conosciuto neri come quelli di sua madre, con gli anni sono diventati come l’argento. Stetti con lei per un po’ di tempo dopo la morte del marito. Ci sedevamo nel terrazzo e pazientemente m’insegnò a lavorare all’uncinetto. Una matassa di lana bianca si trasformò in un golfino che sembrava ricamato. L’ho indossato per tanto tempo. Trasmettere la fede non vuol dire “dare informazioni”, ma “fondare un cuore”, “nella fede in Gesù Cristo”. Ben lontano da apprendere meccanicamente un libretto o alcune nozioni, essere un cristiano vuol dire essere “fecondo nella trasmissione della fede”, così come la Chiesa, che “è madre” e partorisce “figli nella fede” (Cfr. Papa Francesco).
Con questo non si vuol annullare l’essere informati, intelligenti, colti e aver approfondito le verità teologiche; saremmo fuori strada se sopprimiamo tutto ciò. Ma non possiamo confondere l’efficacia con l’efficienza. La prima è legata a questa logica della piccolezza che affida la vita al Signore non presumendo di sapere tutto ma rimanendo in un vero ascolto, senza timore di imbatterci nelle differenze che spesso fanno paura e ci creano pregiudizi. In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.
Questa logica sconvolge i nostri piani, perché ci invita ad andare oltre e allo stesso tempo a fidarci come fanno i bambini che si lasciano guidare da quella mano che spesso cercano consapevoli che senza di essa non possono raggiungere nessuna meta. A quanti mi chiedono il perché delle chiese vuote, mi domando se a volte non pecchiamo di troppe parole, di sermoni che volano sopra le teste delle persone che ascoltano; se siamo capaci di affrontare i problemi che pongono i laici che vivono nel mondo e di assumerli, facendoli nostri e non liquidandoli senza una parola di conforto e di speranza. Lettere che rimangono senza risposta, richieste di aiuto che vengono archiviate (come succede in alcuni uffici pubblici). Un fuggi – fuggi alla maniera di don Abbondio come quando fu sorpreso da Renzo e Lucia che hanno tutta l’apparenza di oppressori ma in realtà erano gli oppressi, lui invece che parrebbe la vittima, commetteva il sopruso. La Chiesa non è chiamata a scimmiottare il mondo ma a dare senso alla nostra vita, a indicare Lui come unica strada.
Poco importa se dietro la scrivania ci sia un vescovo o un sacerdote, lui rappresenta Cristo che, sceso dalla barca, vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore…
Ripenso a lei che sapeva avere compassione di questa umanità ferita e non nutriva nessun pregiudizio a fasciare le ferite fisiche e spirituali. La sofferenza l’aveva forgiata, introducendola in quella logica della piccolezza che sa tacere quando è il momento, sa spegnere fuochi che ardono e sa pazientare anche quando nel suo cuore vorrebbe urlare per tutto quelle ingiustizie che vede intorno, che lei stessa patisce. Non si tratta di rassegnazione, ma di pazienza, che non è un atteggiamento degli sconfitti ma è una virtù della gente in cammino di saper dialogare con il limite è una beatitudine, è la virtù di quelli che camminano, non dei fermi o chiusi; è sopportare, portare sulle spalle le cose non piacevoli della vita, anche le prove; è capacità di dialogare con i limiti (Cfr. Papa Francesco, La pazienza è il contrario della rassegnazione, Meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, 12 febbraio 218).
La fede non è una teoria ma una persona. Allora quando medito su questa logica della piccolezza, mi viene da pensare a lei che certamente non conosceva San John Henry Newman ma avrebbe compreso alla perfezione la sua preghiera:
Guidami Tu, Luce gentile,
attraverso il buio che mi circonda,
sii Tu a condurmi!
La notte è oscura e sono lontano da casa,
sii Tu a condurmi!
Sostieni i miei piedi vacillanti:
io non chiedo di vedere
ciò che mi attende all’orizzonte,
un passo solo mi sarà sufficiente.
Non mi sono mai sentito come mi sento ora,
né ho pregato che fossi Tu a condurmi.
Amavo scegliere e scrutare il mio cammino;
ma ora sii Tu a condurmi!
Amavo il giorno abbagliante, e malgrado la paura,
il mio cuore era schiavo dell’orgoglio;
non ricordare gli anni ormai passati.
Così a lungo la tua forza mi ha benedetto,
e certo mi condurrà ancora,
landa dopo landa, palude dopo palude,
oltre rupi e torrenti, finché la notte scemerà;
e con l’apparire del mattino
rivedrò il sorriso di quei volti angelici
che da tanto tempo amo
e per poco avevo perduto.
Adelaide Compagnucci