
Il vescovo riflette sul tema del Giubileo 2025 appoggiandosi a due immagini evangeliche
Ci stiamo avvicinando al Giubileo del 2025 dedicato al tema della speranza ed è interessante cominciare a riflettere su cosa sia la virtù della speranza e soprattutto la speranza cristiana e cosa la differenzi dal semplice ottimismo umano. Potremmo dire che l’una e l’altro si rivelano nella loro essenza quando siamo difronte al loro opposto: vivere una situazione disperata.
Quando la situazione appare per me e per le mie forze assolutamente bloccata, essere ottimisti è: senza nessuna certezza né motivazione logica, aspettarsi che comunque “andrà tutto bene”.

Questo è l’ottimismo, vuoto perché fondato sul nulla ed anche un po’ miope perché non prova nemmeno a cercare una via d’uscita. La speranza invece è un’altra cosa. In una situazione senza uscita, sperare è attendersi che un aiuto mi verrà da oltre me stesso e da altri e così il mio cammino potrà riavviarsi. La speranza quando attende la soluzione dall’azione di altri, ha un fondamento: la fiducia che nell’umanità che ci circonda, anche al di là delle apparenze, c’è tanto bene, c’è generosità, c’è l’impegno positivo di qualcuno, che certo non mi lascerà come il malcapitato dalla parabola del buon samaritano, solo ed abbandonato lungo la mia strada.
La speranza umana, la speranza che potremmo chiamare laica, si fonda sulla fiducia nell’umanità, sul legame che avvertiamo fondare la nostra vita assieme, non è perciò solo un’attesa assurda di bene. La speranza cristiana però è molto di più. Ha fiducia, anzi ha fede che Dio opera: agisce nel mondo, nel cuore degli uomini e nella mia vita.
Per questo la speranza si fonda sulla fede che: quando sono a terra disperato, il Signore sta già muovendo il cuore del mio “buon samaritano”, di un fratello nell’umanità che mi aiuterà a risollevarmi, aprendo di nuovo la mia strada che appariva irrimediabilmente chiusa.
La speranza cristiana si fonda su Dio che anche attraverso gli altri, e direttamente oltre gli altri, riapre le porte chiuse, le vie interrotte, le strade che non hanno futuro. Nel Vangelo ci sono due immagini potenti della speranza cristiana: la pietra chiusa e sigillata del sepolcro di Cristo, che viene ribaltata dalla sua resurrezione, e le porte e le finestre sbarrate del Cenacolo, dove dopo la crocifissione stanno rinchiusi i discepoli per timore dei Giudei, che Cristo risorto oltrepassa, per apparire loro ed inviarli, spalancate quelle stesse porte, ad evangelizzare il mondo, vincendo una scommessa umanamente inconcepibile. È così che la speranza vive ed opera, fondandosi sulla fede nella resurrezione che è sempre possibile, perché il Signore è risorto, è vivo ed opera la nostra salvezza: «Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1Cor 15,20).
Per questo la speranza non è solo una virtù umana, ma è una virtù teologale, perché è opera di Dio ed assieme opera di ognuno di noi.
E tra le virtù teologali la speranza è la virtù di mezzo, tra la fede e la carità. È dopo la fede, perché non c’è speranza se non spinta dalla fede, come abbiamo visto. Ma è anche prima della carità, perché la speranza non si mette in cammino se la fede non la spinge e l’amore non la attira. È l’amare qualcuno con cui vogliamo condividere la vita che attira verso il futuro la nostra speranza, ma è anche il sapersi amati che attira ed illumina il nostro sperare quando la vita sembra oscura e la paura del buio sembra vincere.
La speranza cristiana cammina, con fatica ma senza fermarsi, superando le incertezze e i timori, se la nostra povera fede la spinge ed il nostro poco amore la attira.
Ma non dovremmo mai dimenticare, che più forte della nostra fede in Dio è la sua fiducia in noi, più forte del nostro amore per Lui è il suo infinito amore che ci attira. Dice la sposa del Cantico dei Cantici a Dio suo sposo: «attiraci e noi correremo» (Ct 1,4). Questo è il ritornello poetico più bello che nella Bibbia canta il mistero luminoso della speranza.
Resta ancora un’ultima cosa da dire, per non cadere in un atteggiamento superbo, che guardi un mondo che fatica tanto a sperare con un atteggiamento di superiorità, atteggiamento certo tutt’altro che cristiano. È bene ricordare che noi cristiani non possediamo questa speranza, se non perché ci è donata. Come per la fede, è giusto dire che il cristiano in ultima istanza non possiede la speranza, ma ne è posseduto.