
Capita. Che in qualche rara o inconsueta occasione, il telefonino smetta di squillare o di inviare messaggi. Inconsapevolmente. Perché si è scelta la vacanza insolita, in perfetto relax, di quelle che ogni tanto si rendono necessarie a conclusione di un tempo troppo impegnativo, in un luogo in cui, semplicemente, la copertura della rete satellitare fa difetto.
È sufficiente accedere, allora, ad un computer: nessuna struttura ricettiva ne è ormai sprovvista. Ma se si è scelto di passare qualche giorno in montagna o in qualche remota località spartana, magari alloggiati in un camper, potrebbe capitare anche questo.
Nessuno è totalmente sprovveduto – penserete voi – e la capacità di adattamento dell’essere vivente funziona ad evitare certi rischi. Ma tra le cose cui bisogna adattarsi in queste occasioni, ad una tendiamo ad essere modernamente “disadattati”: lo stand-by, l’alternativa latente al multitasking, anche al singletasking. Non dalla sola tecnologia – intendo –, ma dalla continuità richiesta da qualunque impegno nel corso dell’anno.
A spaventare non è l’assenza di contatti, ma l’incapacità di riprogrammare i ritmi, di fare i conti con il proprio disagio, con la propria impreparazione. Una dimostrazione? Provate a giocare un’intera giornata con vostro figlio piccolo; o a discutere con quello adolescente dei suoi sogni (per evitare i problemi e le crisi di identità); o ad affrontare con vostra moglie o marito le questioni che solitamente eludete in nome della pacata tranquilla convivenza quotidiana.
Per confessare, infine, quanto sia più facile “identificarsi” rispondendo a una telefonata di lavoro o inviando una email.