Volentieri riceviamo e pubblichiamo l’intervento del professor Paolo Matcovich in merito all’opera «Dove di posano le ombre» di Gian Mario Maulo, presentato a Macerata sabato 5 marzo (Qui il servizio e Qui la Fotogallery dell’evento alla Mozzi-Borgetti).

Una poesia anti-nichilista, quella di Maulo. Dall’inizio del suo poetare, fino a quest’ultima sua pubblicazione postuma. Anti-nichilista, perché dolcemente sovversiva – non ideologica – verso ogni disperata o compiaciuta “celebrazione del Nulla”. Il Nulla sia come sostanza ultima delle cose, sia – anche soltanto – come cifra ermeneutica di individuale o collettiva esistenza. Anti-nichilista, perché emotivamente e filosoficamente estranea alla “nientificazione” di ogni consistenza creaturale o domanda ultima e penultima sul senso del vivere e morire.

Le ombre di Maulo non sono mai la “natura” delle cose, o loro preesistenza o sopravvivenza; sono di esse rimando, vestigia, narrazione, mai simulacro, però.
Forme discrete, misteriose e drammatiche di ciò che è reale e vivente. Specchio, sine luce, di ciò che ha luce e vive nella luce, perché sempre dalla luce vengono. Di noi, tra noi, compagne fedeli nel nostro umano peregrinare, protesi come siamo tra Assurdo e Mistero.
Le ombre, per Gian Mario, sono il simbolo potente eppure (o proprio perché) silenzioso, leggero, impalpabile di ciò che è, respira, soffre, “muta” e infine “passa”. Poesia agonica perfino, negli ultimi tempi, mai nichilista o scorata: una lotta durissima, accanita, con l’Angelo e contro il demone.
Le ombre: attestato d’essere e di esistenza, ma anche memoria visiva e lirica di un “Oltre”, che non per tutti è Aldilà, ma pur sempre stupefacente e sorprendente trascendenza d’ogni dato e accadimento. Un’escatologia della pazienza, dell’attesa e del forse attraversa intimamente l’intera opera lirica di Maulo.
Una meta-fisica, quella di Gian Mario, per ombre e dalle ombre, per tentare di “vedere”, contemplare, perfino confidare nel Mistero nascosto o Totalmente Altro d’ogni realtà.
Poesia naturalista infine, gravida di elementi botanici, tellurici, animali. Quasi pascoliana (certamente non panteista o dannunziana) in molti dei suoi versi e titoli; ancora una volta luci e ombre di creature che animano tramonti e albe più che assolati e desolati meriggi o cupe e paurose notti.
Creature che, quasi sensorialmente, ci inducono e con-ducono – per un’altra “via” – a quella Speranza che non delude anche se, per Gian Mario, nulla evita o risparmia all’universale e singolare patire e lottare.
Dove si posano le ombre: è domanda o affermazione? O entrambi insieme? Certamente uno sguardo, un suggerimento. Come dall’icona di copertina, le ombre si posano (trovano pace?) nel grande lago africano, tra i fenicotteri rosa. I fenicotteri: anch’essi ombra, consistenza e metafora del ciclo della vita e della risurrezione dalle proprie ceneri.

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