Si avvia alla conclusione il percorso articolato nei lunedì di Quaresima che ha visto le lectio di Monsignor Nazzareno Marconi coinvolgere le comunità delle Vicarie diocesane. È stata la concattedrale treiese, dedicata a Santa Maria Annunziata, a ospitare nella serata di lunedì 7 marzo il penultimo dei sei appuntamenti che mirano ad approfondire gli elementi del sacramento della Confessione. In quest’occasione la lectio ha riguardato l’assoluzione dei peccati.

La riflessione sul momento in cui il sacerdote perdona i peccati è stato introdotto da una lettura tratta di passi della seconda lettera di San Paolo ai Corinzi e della formula dell’assoluzione sacramentale, un testo liturgico definito anche “parola sacra” perché ispirata dalla Parola di Dio.

Nel Sacramento della Riconciliazione – ha sottolineato il vescovo – le parole pronunciate durante l’assoluzione sono precedute e accompagnate dal gesto simbolico che il sacerdote compie sul penitente, imponendo le mani sul suo capo. Questo «è prima di tutto un gesto di missione, e è un gesto di invio dello Spirito Santo. È lo stesso gesto che si compie nelle ordinazioni e prima della consacrazione eucaristica. Il compito è di trasformare qualcosa, e anche nella Confessione come nell’Eucaristia lo Spirito Santo compie un cambiamento».

Poi il vescovo ha ribadito lo stretto collegamento che sussiste tra il Battesimo e la Confessione: «Al centro di tutto c’è il cristiano. Dove c’è un cristiano c’è un figlio di Dio che porta avanti la missione di Gesù. Gesù si identifica con noi ed ogni cristiano è unito a Cristo ed è presenza di Lui, ma quando pecchiamo questa unione s’incrina. La grazia del Battesimo viene ferita. L’assoluzione, dono rinnovato di Spirito Santo, ci restaura nella condizione di piena comunione con Dio in Cristo. L’assoluzione non è cancellare il passato ma dare nuova pienezza di vita».

Come nelle settimane precedenti, la riflessione si è concentrata anche sul celebrante: «Pronunciando le parole “Dio ti conceda il perdono e la pace”, il sacerdote mette in circolo l’intera Trinità che opera attraverso di lui nella tua anima. Il perdono che ricevi è grazie alla morte e alla resurrezione di Gesù, per questo nei confessionali c’è il Crocifisso. È il grande amore di Gesù crocifisso e risorto che ci salva».

«Nei sacramenti – ricorda monsignor Marconi – è sempre Cristo che opera; per questo prima il sacerdote chiede per te il perdono e poi dice: “io ti assolvo”. Può farlo perché è Gesù che agisce in lui; perché nella sua consacrazione il sacerdote ha offerto la vita a Cristo affinché attraverso la sua persona sia Lui che opera. Il sacerdote che ci assolve potrebbe essere più peccatore di noi, ma attraverso la sua persona è Gesù stesso che ci perdona».

Il vescovo ha parlato anche dei motivi per cui il confessore è tenuto a mantenere il segreto su quanto detto durante la Confessione per sempre e anche costo della sua stessa vita. Non farlo comporterebbe un peccato grave, e per ottenere il perdono dovrebbe ricorrere al Papa: «Il prete presta a Cristo la sua persona e usare quello che si è saputo in Confessione equivale a comportarsi come se quella persona avesse confessato i suoi peccati a lui. Vorrebbe dire mancare di rispetto a Cristo».

«Per essere buoni confessori – conclude – basta seguire quello che dice San Giovanni Battista quando presenta Gesù: “Ora Lui deve crescere e io diminuire”. Bisogna vivere con tale umiltà questo servizio da dare la certezza a chi si confessa di trovarsi davanti a Cristo, diventando trasparenza delle Sua presenza»

L’appuntamento è per lunedì 14 marzo quando, di nuovo nella cattedrale di San Giuliano a Macerata, monsignor Nazzareno Marconi concluderà le riflessioni sul Sacramento della Misericordia. Come sempre, sarà possibile seguire l’evento anche in diretta streaming sul sito della Diocesi e in televisione su èTv Macerata nei canali 89 e 605. Radio Nuova in blu, trasmetterà in differita il mercoledì successivo.

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Guarda il video dell’evento

Leggi gli articoli dedicati ai quaresimali: (l’esame di coscienzail dolore dei peccati e il proposito di non peccare più, l’accusa dei peccati)

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