«Non scelsi io ma Dio scelse per me il collegio Redemptoris Mater di Macerata». Queste le prime parole pronunciate “da italiano” da parte di don Fabio Josè Olano Carranza, dopo aver giurato fedeltà alla Costituzione e alle leggi dello Stato, mercoledì 6 aprile, presso la Sala del Sindaco del Comune di Treia. Alla presenza del Primo cittadino Franco Capponi, dell’ambasciatore straordinario e plenipotenziato presso la Santa Sede, Manuel Roberto Lòpez, del parroco della Cattedrale della Santissima Annunziata, don Gabriele Crucianelli, e di alcuni suoi amici, don Fabio, visibilmente emozionato, ha così coronato un percorso personale che lo ha visto arrivare in Italia circa 16 anni fa.

Don Fabio, come sono trascorsi questi primi giorni da cittadino italiano?
Devo ammettere che l’emozione è stata grandissima. In primo luogo, l’aver acquisito la cittadinanza italiana per me è un grande onore. Si tratta di un vero e proprio dono di Dio, in quanto sto vivendo concretamente come il Signore mantenga le sue promesse. Vi è un passo del Vangelo nel quale si ascolta Pietro domandare a Gesù: «Ma Signore, noi che abbiamo lasciato tutto che avremo? Che ci guadagneremo con tutto questo che abbiamo fatto?». E Gesù gli risponde: «Guarda Pietro, non c’è nessuno che abbia mai lasciato qualcosa per me e che non abbia ricevuto, fin da questa vita, cento volte tanto». Tutto ciò io ho potuto sperimentarlo nell’accoglienza ricevuta dall’Italia, al di sopra di ogni mia aspettativa, e nei gesti di grande amore nei miei confronti, espresso prima dalla gente di Treia e, ora, riconosciuto istituzionalmente.

Nato nella Repubblica di El Salvador nel 1980, è arrivato in Italia nel 2000. Può descriverci questa accoglienza che, già nelle sue prime parole, ha segnato il suo percorso di fede?
Sono molto felice di rispondere a questa domanda. La mia presenza in Italia è segnata da un disegno di Dio, io lo chiamo così, che si sta svelando giorno dopo giorno. Da giovane, durante il Cammino Neocatecumenale, sono venuto a conoscenza dell’esistenza di alcuni seminari internazionali, tra cui quello di Macerata, legato storicamente alla Cina tramite l’opera di Padre Matteo Ricci, che preparano i sacerdoti al loro percorso pastorale. Tuttavia, non sono loro a scegliere dove andare: i luoghi vengono assegnati, infatti, a sorteggio. Dico questo per evidenziare ancora di più come sia Dio a sceglierti e inviarti, tu soltanto devi rispondere, con la tua libertà, “sì” o “no”. Mi sono così “ritrovato” in Italia, in un incontro con più di trecento ragazzi dell’età mia (all’epoca avevo vent’anni) che volevano fare il mio stesso cammino, per essere inviato, successivamente, al seminario Redemptoris Mater.

Tra le sue esperienze, vi è proprio quella vissuta in Cina. Ce ne può parlare?
Il desiderio più grande era quello di avere un primo contatto con questa realtà così lontana da noi. Chi era partito prima di me aveva dovuto affrontare alcuni problemi che pensavo di dover affrontare anch’io. Tuttavia, per me e per i miei compagni di viaggio (eravamo in quattro) si è trattata di un’esperienza sicuramente particolare ma più consapevole, forse proprio grazie a quanti ci avevano preceduto. Al mattino, ci recavamo all’Università di Lingue in compagnia di ragazzi provenienti da ogni parte del mondo: nella mia classe vi erano giovani provenienti da tutta Europa, dalla Francia all’Olanda, dal Belgio alle Russia, per imparare il cinese. Al pomeriggio, ripassavamo le lezioni, preparando i compiti e scandendo la nostra giornata con la preghiera. Al passaggio di un presbitero missionario, poi, celebravamo l’eucarestia e confessavamo i nostri peccati. Ci recavamo spesso anche alla “Cattedrale del Nord”, una delle quattro fondate dai missionari a Pechino.

Dopo essere stato a Passo di Treia, prima, e a Treia, poi, cosa le riserva il futuro?
Il vescovo Nazzareno Marconi mi ha chiesto compiere una nuova esperienza, colma di emozione: il percorso di studi per il dottorato in Teologia. La maggior parte del tempo la trascorro a Roma ma, quando posso, offro il mio servizio nella parrocchia di San Donato, a Montefano. Tuttavia, resto molto legato a Treia, dove ho voluto lasciare la mia residenza. Si tratta della città dove sono diventato prete e dove la cittadinanza mi ha accolto e voluto bene, oltre ad avermi insegnato, nei primi anni della mia vita sacerdotale, a essere un buon prete.
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